Il Casinò di San Feliu

Scritto da:  | 10 Febbraio 2010 | Un commento | Categoria: Stranieri, Tornei, Zibaldone

Palma de Mallorca, Olot, Montilla, Torremolinos, Orense, Lanzarote, Málaga… località i cui nomi suonano accattivanti all’orecchio del turista smanioso di nuovi panorami ma che, ancor più accattivanti indubbiamente, risuonano all’orecchio dell’appassionato di scacchi.
Indiscutibile il fascino di queste ridenti località della penisola iberica che, a partire dall’inizio degli anni settanta, hanno puntato con successo sugli scacchi per aggiungere un richiamo ai già conclamati propri punti di forza, essenzialmente gli stessi della nostra penisola le cui sponde lambiscono il medesimo mare: sole, spiagge, storia e cultura, aspetti vincenti di un fenomeno turistico che iniziava ad espandersi proprio in quegli anni.
Linares venne poco più tardi ma nacque sotto gli stessi auspici.
Erano gli anni in cui la dittatura “franquista” era ormai al crepuscolo e la nazione spagnola vagheggiava già il gusto di una ripresa, sia economica che industriale e sociale, ed in modo non minore turistica appunto e finanche scacchistica. Gli anni dell’isolamento culturale che la dittatura del Caudillo aveva imposto avevano infatti impoverito anche lo sviluppo scacchistico di un paese attualmente invece in grande crescita.
Dopo “Arturito” Pomar Salamanca e Antonio Medina García, a parte figure storiche quali Ramón Rey Ardid, ben pochi erano gli scacchisti spagnoli apprezzati sulla ribalta internazionale. Jesús Díez Del Corral, Román Torán, Ricardo Calvo Mínguez e Fernando Visier alcune tra le ben poche eccezioni. Ben lungi dalla pretesa di un’analisi approfondita relativa alla storia scacchistica spagnola dalla Guerra Civile in avanti, ci interessa solamente rilevare quali siano state alcune di queste “tappe” scacchistiche. Ed una tappa importante, sia turistica che scacchistica è certamente stata, in quegli anni, San Feliu de Guíxols, che per qualche stagione, a metà degli anni ’70, ha ospitato un torneo “ad inviti” cui hanno preso parte giocatori del calibro di Ludek Pachman, Ulf Andersson, Pal Benko, László Szabó, Rafael Vaganian e, tra gli altri, il “nostro” Stefano Tatai, secondo nell’edizione inaugurale del 1973 alle spalle di Heikki Westerinen.

A mo’ di introduzione geografico-scacchistica presentiamo una partita, giocata nell’edizione del 1974, tra il MI spagnolo Juan Manuel Bellón ed il già affermato GM argentino Miguel Quinteros e vinta brillantemente dal rappresentante iberico, divenuto di lì a poco Grande Maestro.

Su 19…Rg6 si sarebbe avuto lo splendido matto 20.Ae8#

Classifica e risultati del Torneo Costa Brava 1973 disputatosi a San Feliu de Guíxols

Edizione '73, in primo piano Westerinen vs. Medina e Pachman vs. Pijuan

Di spalle, al centro della foto, il MI Stefano Tatai, imbattuto e unico a sconfiggere il vincitore

Annullo filatelico in occasione del Torneo Costa Brava 1974, disputatosi a San Feliu de Guíxols

In appendice proponiamo infine una lettera pervenutaci da un anonimo “aficionado” catalano, residente nella succitata località della Costa Brava teatro dei tornei in questione, e che ho tentato di tradurre nel modo più decente possibile. Non me ne vogliano i Lettori di Soloscacchi per gli errori di versione.

Quando vi nacqui, a San Feliu, esisteva già. E’ una sorta di piccolo grande monumento cittadino, il “Casino dels nois”, ufficialmente noto come Nou Casino “la Constància” ma per tutti semplicemente appunto il “Casinò dei nuovi”, in contrapposizione al “Casinò dei Signori” (ufficialmente Casino Guixolenc), luogo invece di ritrovo della media e alta borghesia di fine ‘800. L’edificio, di stile moresco, fu edificato nell’ormai lontano 1888 ad opera dell’architetto General Guitart i Lostaló e divenne presto punto d’appuntamento per l’aperitivo del pomeriggio nonché, ovviamente, per una partita a carte piuttosto che di domino piuttosto ancora che di scacchi. A tutt’oggi la prima cosa che il turista, attratto dalla singolare facciata, entrandovi può notare sono gli antichi tavolini di scacchi intarsiati nel legno ed ormai logori e dai bordi consunti e scavati per le innumerevoli battaglie di cui hanno costituito lo scenario. In fondo al salone il bancone, anch’esso antico e suggestivo, e tutt’intorno un pullulare di giocatori, spettatori, curiosi, giovani e vecchi, studenti e pensionati, più quest’ultimi per la verità che non i primi. Ognuno intento in una qualche, spesso imperscrutabile, attività: chi gioca, chi discute, chi sorseggia un sorbetto, chi legge un giornale, chi invece non fa nulla, proprio nulla, ma pare più concentrato e assorto di tutti gli altri. Fino a quelche anno addietro non era fatto divieto di fumare ed ogni sorta di derivato del tabacco aveva fatto mostra di se in quel suggestivo luogo di ritrovo: “cubani” e “nostrani”, sigarette e pipe di ogni foggia e colore, solamente il narghilè non ricordo d’averlo mai veduto… Una vera Babele di linguaggi e dialetti di ogni sorta s’affacciava all’orecchio dell’avventore che vi avesse messo più o meno cautamente piede: non soltanto il catalano ed il castigliano ma sovente anche gallego ed euskera, per non parlare di chi si cimentava, più o meno maldestramente, in tentativi di intrattenere qualche ospite straniero in francese, in italiano, in tedesco e perfino in russo a seconda del paese di provenienza del visitatore. Il rispetto del silenzio era comunque un concetto piuttosto atipico e sconosciuto, eccezion fatta per i tornei.
Ebbene si narra di patrimoni ingenti, di ville e padiglioni dilapidati su quei tavoli da gioco, poste incredibili in liquidi e immobili sperperate per il demone del gioco, in una febbre endemica che nessuno di volta in volta risparmiava, senza distinzione di ceto e di cultura: nobili e plebei, ricchi e pezzenti, ciascuno nel limite delle proprie risorse ma più sovente e tristemente ben oltre.
Di casi disperati, terminati in tragedia, avvenuti a causa di dissesti originati a “la Constància” ne han narrato, per generazioni, i nonni ai nipoti, a monito duraturo dei perigli causati per la smania del gioco.
Di un distinto signore, di cui per riguardo, non posso che tacer il nome, a lungo porterò il ricordo. Non era del posto, si diceva che fosse di Saragozza, e che andasse a vender stoffe pregiate a Barcellona ma immancabilmente, la domenica sera, faceva tappa fissa  a “la Constància”, lungo il viaggio di ritorno, evidentemente soddisfatto dell’andamento degli affari. Le prime volte lo si scorgeva curiosare timidamente sopra i tavoli da gioco, quelli di carte. Fino a quando, una sera, lo riconobbi intento a cimentarsi in una partita di scacchi. I baffetti appuntiti, la calvizie, i lineamenti del volto, fini e aristocratici, in breve la sua figura iniziò a divenire familiare agli avventori del “Nou Casino”.
Arriva verso l’imbrunire, poco prima di cena e rimaneva seduto alla scacchiera a giocare, ingobbito e concentrato su quei pezzi di legno, sotto la luce fioca e debole di quelle lampade fino a notte inoltrata. “Piattini” di poche pesetas che immancabilmente venivano versati, a fine partita, nelle tasche del più esperti avversari.
Lo sguardo impassibile eppure velatamente malinconico, sempre uguale, immutabile. Alla chiusura del locale risaliva con fare mesto sulla sua vettura nera, parcheggiata lungo il marciapiede prospiciente l’edificio, e ripartiva nella notte alla volta di ignote destinazioni.
Non parlava mai con nessuno, quando arrivava faceva un semplice cenno col capo a qualche giocatore che in piedi ormai aveva preso a conoscerne le abitudini. Estraeva allora con gesto meccanico dalla tasca il solito obolo posandolo accanto alla scacchiera e questo in una sorta di immjutabile rituale stereotipato e puntualmente cadenzato dalle ripetute sconfitte.
Da un certo giorno in poi qualcuno si accorse che l’abbigliamento, un tempo elegante ed inappuntabile di quel distinto signore, aveva assunto un aspetto più modesto ed ordinario. La cosa che invece parve non sfuggire a nessuno fu quando, anche nelle fredde serate invernali, incominciò ad arrivare senza l’abituale paletot addosso, e non fu lontano il giorno in cui, alla chiusura, non fu visto salire sulla solita macchina nera ma incamminarsi a piedi in direzione della stazione delle vetture di piazza.
Lo rividi solo una volta ancora, alcuni mesi appresso, giacché per vicende mie personali ebbi ad assentarmi per un certo periodo da quel luogo. Appena vi feci ritorno, a dispetto della mia lunga assenza e soprattutto della rara consuetudine, si affrettò a riconoscermi d’immediato e avvicinatosi rapidamente, dopo un rapido scambio di convenevoli, mi propose
una sorta di società: in cambio di quello che, con una smorfia quasi disgustata, chiamò un “piccolo prestito” avrebbe sfidato in vece mia un certo tal giocatore garantendomi due terzi della vincita in caso di successo. Siccome non si trattava di una somma ingente e, debbo ammettere, datosi che il mio istinto mi suggerì la disperazione di quella richiesta cedetti, senza tuttavia illudermi che avrei rivisto il mio denaro. Per non aggiungere imbarazzo alla scena mi allontanai discretamente dal tavolino a cui il mio conoscente si diresse con fare mortificato e miserevole. Incontrati altri vecchi amici m’intrattenni con loro per tutto l’arco della serata, lanciando solo un paio d’occhiate furtive verso il fondo del locale in direzione della scacchiera ove rimase seduto tutto il tempo l’anziano commerciante di tessuti.
Fattasi l’ora di andare mi alzai cautamente badando a non voltarmi per non esser visto ed evitare così una situazione imbarazzante, allorquando, nell’aprire la porta del locale per uscire, mi sentii picchiettare sul gomito e voltandomi m’avvidi infine che il mio “socio” non c’era più, il tavolino vuoto e la scacchiera coi pezzi a posto.
Era il cameriere che mi fermò, spiegandomi: “un signore che la conosce la prega di ricever questo…” e mi porse una busta piegata in due. D’istinto la presi e feci per cercar con lo sguardo il mittente di quella missiva ma non ne ebbi il tempo. “Se n’è già andato” s’affrettò ad aggiungere il cameriere prevenendo la mia domanda…
Non lo rividi mai più, in tutti gli anni che frequentai ancora il “Nou Casino”.
Dentro quella busta c’era un foglio di carta con scarabocchiate poche parole: “non posso pagare il mio debito, spero si voglia accontentare di questa misera ricompensa” e sotto, schizzato a matita, il disegno di una scacchiera, disegno che rimetto al Signor Martin Eden nel modo più fedele possibile.

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avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


Un Commento a Il Casinò di San Feliu

  1. avatar
    Rouletter 30 Aprile 2010 at 22:21

    Complimenti..Ben scritto e ben trattato l’argomento..Sito salvato tra i preferiti.

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