Tra i grandi scacchisti del passato un posto di assoluto riguardo merita David Jonovic Bronstejn. Nato nel 1924 in un piccolo centro dell’Ucraina, divenne tra i più forti al mondo giovanissimo ottenendo nel 1951, dopo una serie di grandi successi e la vittoria nel torneo dei candidati, il diritto di sfidare, all’esito dello spareggio con Isaak Boleslavsky, l’allora campione del mondo, il russo Michail Botvinnik, match terminato in parità dopo una lunga battaglia, il che consentì al campione, secondo le regole del tempo, di conservare il titolo.
Bronstejn può essere considerato un vero artista della scacchiera. Egli stesso diceva che quando si sedeva per affrontare un avversario non pensava al guadagno del punto o alla vittoria nel torneo, ma, al pari di un artista innanzi alla tela bianca, immaginava la gioia di poter creare qualcosa di significativo, di bello e piacevole da vedere.
Nato nel 1924, gli anni della sua adolescenza non furono per nulla facili. All’età di 13 anni dovette assistere all’arresto del padre, accusato da alcuni ufficiali corrotti di attività antisovietica, mentre in realtà aveva soltanto aiutato alcuni contadini di una zona nei pressi di Kiev che subivano ingiuste vessazioni. Il padre, dopo un processo sommario, fu inviato in un gulag in Siberia dove rimase per 7 anni e, una volta rilasciato per ragioni di salute, gli fu imposto il divieto di tornare nella propria città. Lo stesso fu riconosciuto poi innocente soltanto nel 1955 e definitivamente riabilitato 3 anni dopo la sua morte.
Gli inizi della sua ascesa scacchistica furono condizionati dai tragici eventi bellici. Infatti, mentre disputava, all’età di 17 anni, un importante torneo a Mosca nel 1941, l’Unione Sovietica venne invasa dalle truppe naziste e così, per diversi anni, ogni attività agonistica fu sospesa.
Bronstejn non fu mai iscritto al partito comunista sovietico, nè fu mai allineato alle idee del regime. Negli anni ’70 si rifiutò di firmare una lettera della federazione sovietica che condannava la fuga di Viktor Korchnoj in Occidente e subì un vero e proprio boicottaggio, durato 14 anni, anche per aver aiutato lo stesso Korchnoj in occasione del suo match contro Karpov. In questo lungo periodo gli fu proibita la partecipazione ad importanti tornei all’estero ed il suo ultimo torneo al di fuori dell’URSS e degli altri stati che aderivano alla c.d. “cortina di ferro” lo giocò nel 1975 ad Hastings dove si classificò primo a pari merito con Hort ed Uhlmann.
Egli è ricordato non soltanto per le sue innumerevoli vittorie, frutto del suo stile aggressivo e dinamico, ma anche come ineguagliabile divulgatore del gioco attraverso i suoi scritti didattici e le sue interviste in cui traspare la grande passione scacchistica che ha animato la sua vita.
Tra i libri più interessanti da lui scritti si ricordano il famoso Neuhausen-Zurigo 1953 Il torneo internazionale dei Grandi Maestri, “L’indiana di Re” e il più recente “L’apprendista Stregone”.
Perché David Bronstejn è definibile come uno dei padri del gioco moderno?
Va ricordato che nei precedenti decenni aveva predominato il gioco strategico basato sugli insegnamenti di Tarrasch e Steinitz, in risposta al vulcanico gioco “romantico” dell’800, ma ormai c’era bisogno di una ventata di aria fresca e così nuovi talenti scacchistici, su tutti dapprima Aaron Nimzowitsch e Richard Reti e successivamente, negli anni ’50-’60 del secolo scorso, David Bronstejn e Michail Tal, introdussero nuove idee, nuovi elementi dinamici nella valutazione della posizione, nuove aperture e difese fino ad allora ritenute dubbie o stravaganti e costrinsero i più forti giocatori del tempo a misurarsi con il loro stile innovativo, caratterizzato da un’inesauribile creatività, dall’originalità delle manovre, dal talento combinativo.
Contro questi combattivi avversari il valore dei pezzi e le considerazioni puramente strategiche (in senso statico) sembravano passare in secondo piano rispetto alle potenzialità della posizione, all’attività dei pezzi, all’iniziativa diretta all’attacco sul re con l’ausilio, se necessario, di coraggiosi sacrifici di materiale.
Possiamo comprendere il gioco di Michail Tal, di Bobby Fischer, di Ian Timman, per citarne solo alcuni, nonché di Garry Kasparov, campione del mondo negli anni ’80 e ‘90, soltanto se studiamo attentamente le partite di David Bronstejn ed i concetti dinamici caratteristici del suo gioco.
Ma, come detto poc’anzi, David Bronstejn fu anche un grande insegnante e divulgatore del gioco. Il suo talento didattico emerge nel famoso libro del torneo dei candidati, svoltosi tra Neuhausen e Zurigo nel 1953, dove illustra con semplicità, evitando per quanto possibile di riportare lunghe e noiose varianti, le idee che caratterizzano la posizione, i concetti strategici delle aperture, le strutture pedonali, il fattore “tempo”, ecc.
Colpisce in questo libro, un vero classico della letteratura scacchistica, l’intento di accompagnare il lettore nella ricerca della miglior comprensione del gioco. Si illustrano con semplicità le complicazioni tattiche senza abusare dei punti esclamativi ed interrogativi e non manca l’attento studio di alcuni finali di partita (in particolare un famoso finale di torre nella partita N° 150 Gligoric-Euwe estesamente commentato).
Lo studio di alcune difese, su tutte la nimzoindiana e l’est-indiana in risposta all’aperura di donna (entrambe impiegate in numerose partite del torneo dallo stesso Bronstejn) ci fa comprendere l’evoluzione della teoria attraverso l’esperienza dei più forti grandi maestri del tempo: ricordiamoci che al torneo dei candidati del 1953 partecipavano, oltre allo stesso Bronstejn, campioni del calibro di Smyslov (che alla fine vinse qualificandosi quale sfidante di Botvinnik) Petrosian, Euwe, Keres, Geller, Gligoric, Reshewsky, Najdorf.
Un altro libro scritto da Bronstejn che ha suscitato in me grande impressione è il famoso “L’apprendista Stregone”.
In questo prezioso volume, il campione si propone di rendere comprensibile ai giocatori alle prime armi (e non soltanto) i fondamenti del gioco attraverso esercizi strategici e tattici, l’esame di numerose partite estesamente commentate, numerosi suggerimenti pratici e tante considerazioni generali che spaziano dai concetti più elementari fino ai progressi dell’informatica applicata agli scacchi.
Egli, in questo volume esordisce proponendo 40 consigli brevi ai principianti: in 3 pagine vi è la sintesi di un intero manuale introduttivo sul nostro gioco. Ci fermiamo a ricordare soltanto il primo (una sorta di riflessione molto interessante):” Nessuno è mai stato in grado di studiare gli scacchi nella loro interezza, nemmeno i campioni del mondo, ma chiunque può giocarvi e divertirsi”.
Poi si entra nel vivo della materia con l’esame di 40 combinazioni illustrate, dalle più semplici alle più complesse: ognuna viene spiegata con estrema chiarezza sottolineando come la tattica scaturisca dalla superiore attività dei pezzi, dallo sfruttamento delle debolezze nel campo avverso, dal concetto di sacrificio come cessione di materiale per conseguire un vantaggio più grande, il tutto condito da un’infinità di aneddoti o di esempi tratti dalle tante partite giocate nel corso della lunga carriera dell’autore.
Ci troviamo così nel bel mezzo del laboratorio del grande maestro, sempre accompagnati con mano leggera, senza eccedere in classificazioni dogmatiche e sempre gratificati da una semplice e piacevole lettura. Nei suoi commenti, l’autore si sofferma sui momenti culminanti dell’attacco e della difesa ed alla fine vi è sempre una nota particolare in cui Bronstejn si chiede: ”Cosa possiamo imparare da questa partita?” E così scopriamo, ad esempio, concetti oggi molto diffusi come il ruolo dei pedoni di torre “a” ed “h” da lanciare nell’attacco, la necessità di far collaborare tutti i pezzi senza lasciarne alcuni inattivi e tante considerazioni dell’autore su famose aperture come il gambetto di re, l’attacco Marshall, ecc.
Leggendo questo bel libro si è stimolati a giocare con fantasia evitando varianti di routine consigliate dai manuali, magari rischiando di perdere pur di stimolare la propria creatività. Anche nell’arte della difesa, Bronstejn ci spiega come preferire sempre mosse attive che creino problemi all’attaccante, accettando coraggiosamente materiale se non si vedono minacce concrete.
Il libro prosegue con una serie di partite descritte con l’utilizzo di numerosi diagrammi che evidenziano i momenti cruciali, ma senza alcun commento, quasi a voler indurre il lettore a trovare le mosse migliori ragionando con la propria testa. Poi, in un’altra sezione, sono riportate una serie di partite definite “pittoresche” in cui alla fine l’autore si limita ad indicare il pezzo più aggressivo o il più debole, a volte il più sfortunato o il più mobile, altre volte il più vivace e così via.
Il volume si conclude con una serie di partite giocate con alterna fortuna dall’autore, verso la fine degli anni ’90 del XX secolo, contro vari programmi scacchistici: non si tratta ancora dei mostri che oggi siamo abituati a consultare su ogni sito scacchistico che si rispetti, ma la fantasia di Bronstejn rende anche queste sfide assolutamente emozionanti grazie a gambetti e sacrifici basati sulle debolezze strategiche che caratterizzavano (almeno all’epoca) i più accreditati software scacchistici.
Bronstejn è stato un giocatore d’attacco senza eguali; egli ricorda che anche Paul Keres ai suoi tempi era formidabile quando vedeva possibilità di complicare il gioco in vista di attacchi sul re, ma riconosce che entrambi non eccellevano in misura uguale nell’arte della difesa.
Per tanti anni egli ha giocato con il bianco il gambetto re e con il nero, oltre a sperimentare varianti minori o difese inusuali, come la difesa scandinava, ha contribuito a perfezionare gli schemi dell’est-indiana, difesa con la quale ha spesso sferrato attacchi formidabili sul re nemico mentre il bianco cercava l’iniziativa sul lato di donna. Ricordo una sua partita nella quale egli spiega come finanche l’alfiere est-indiano del nero “relegato” in c8 aveva svolto un ruolo attivo nell’attacco vincente sul re cooperando con gli altri pezzi.
Bronstejn è stato senza dubbio uno dei più forti giocatori della seconda metà del ‘900, pur non essendo riuscito a conquistare il titolo di campione del mondo. Egli concluse in parità nel 1951 un match di 24 partite contro Michail Botvinnik per certi versi drammatico: basti pensare che dopo la 22ª partita egli conduceva con un punto di vantaggio sul campione di San Pietroburgo, ma fu sconfitto inopinatamente nella 23ª partita commettendo errori decisivi nel finale, in seguito alla ripresa del gioco dopo la sospensione e pareggiò poi, sfiduciato, l’ultima, la 24ª, contro un determinato e freddo Botvinnik.
E pensare che con le regole odierne, in caso di parità, il match per il massimo titolo sarebbe proseguito con una serie di partite a cadenza rapida fino, in caso di ulteriore parità, agli spareggi blitz con 3 minuti sull’orologio e pochi secondi di incremento per ogni mossa: specialità nella quale Bronstejn era all’epoca considerato imbattibile.
Ci sia concessa una breve divagazione a proposito della 23ª partita, con un episodio che bene illustra l’atmosfera cupa ed il clima di sospetto che gravava a quei tempi sulla vita di questi campioni dell’ex URSS. Ebbene, dopo la sospensione della partita alla 42ª mossa, il grande maestro Salomon Flohr, uno dei 2 secondi del team di Botvinnik e suo amico, gli si avvicinò raggiante dicendogli di aver analizzato al volo la mossa (che egli riteneva scontata) messa in busta dal campione del mondo, 42 Ab1, considerandola vincente. Ebbene Botvinnik, temendo di essere “tradito” dal suo stesso compagno, con mille pretesti, fino a pochi minuti prima della ripresa del match, non gli rivelò l’effettiva mossa segreta evitando di analizzare con lui la posizione e quando salirono in macchina il giorno successivo per riprendere l’incontro e Flohr seppe che non era quella la mossa sigillata, rimase senza parole fino a piangere per il dispiacere. Questa storia fu rivelata anni dopo da Mark Tajmanov a Garry Kasparov il quale ne “I miei grandi predecessori”, sottolinea il brutto carattere del “patriarca” il quale, a suo dire, “bene aveva appreso lo spirito dell’epoca stalinista”.
E così Botvinnik, pur essendo rimasto molto a lungo lontano dalle competizioni di alto livello, riuscì a conservare per il rotto della cuffia il titolo mondiale.
Il campione fu messo spesso in crisi, nel corso del match, dallo stile di gioco vulcanico dell’avversario, capace di uscire dagli schemi usuali e di giocare mosse poco prevedibili e perfino ad utilizzare più volte impianti di gioco solitamente adoperati dal campione del mondo (come la difesa olandese) al fine di mettere alla prova la sua tetragona preparazione teorica.
Bronstejn, vari anni dopo il match, raccontò a Tom Furstemberg, amico, giornalista e scrittore, che la mattina dell’incontro decisivo della 23ª partita del match, mentre passeggiava con una ragazza di cui era innamorato, tal Lydia Bogdanova, il giorno dopo aver assistito con lei ad uno spettacolo nel famoso teatro moscovita Bolshoj, fu colpito dalla sua indifferenza quando le confidò che poteva diventare il nuovo campione del mondo. Pare che David uscì da questo incontro molto turbato e giocò non proprio sereno la 23ª e decisiva partita. Secondo questo racconto, la ragazza successivamente cercò in qualche modo di scusarsi, ma il loro rapporto si ruppe comunque un anno dopo.
Forse Bronstejn era capace di comprendere meglio di chiunque altro una posizione complessa, ma, ci si consenta una scherzosa considerazione, doveva ancora migliorare nella comprensione dell’animo delle donne, le quali hanno un intuito straordinario nel fiutare quelle passioni che possano in qualche modo distogliere i loro innamorati dall’assoluta dedizione che ritengono sia loro dovuta.
Da parte sua, Botvinnik, poco incline alle romanticherie, disse molto più prosaicamente che Bronstejn avrebbe dovuto prepararsi meglio sui finali se intendeva davvero aspirare al titolo mondiale ed un pizzico di verità c’era anche nelle parole del “patriarca”, visto che Bronstejn non fu certo impeccabile nel corso del match nella gestione tecnica di alcuni finali.
Una singolare circostanza relativa al celebre balletto russo accomuna i 2 sfidanti, anche se l’esito della vicenda scacchistica e sentimentale fu ben diverso per il campione del mondo. Botvinnik racconta, infatti, in “Battaglie sulla Scacchiera” che (nel maggio del 1934) aveva conosciuto la sua futura moglie, Gajane Ananova, in occasione di un evento teatrale. Innamoratosi a prima vista, la sera stessa si fidanzò, dopo averla riaccompagnata a casa sotto una pioggia torrenziale attraversando il ponte sul fiume Neva; la mattina successiva aveva il morale alle stelle e sulle ali dell’entusiasmo vinse una decisiva partita contro il maestro Belavenec in occasione della classica sfida annuale tra Mosca e Leningrado.
Bronstejn non riuscì mai più a qualificarsi quale sfidante per il massimo titolo anche se per tanti anni ancora il suo gioco rimase caratterizzato da uno stile brillante, creativo e dinamico, da vero artista della scacchiera.
Per illustrare adeguatamente l’inventiva e la temerarietà di questo grande campione, intendiamo proporre una partita (tra le tantissime brillanti e piene di sacrifici che hanno costellato la sua luminosa carriera scacchistica) che ancora oggi è considerata tra le più straordinarie mai giocate. Ci riferiamo alla sfida contro il giovane grande maestro iugoslavo Ljubomir Ljubojevic, all’epoca all’apice della forma, nel corso dell’importante torneo interzonale del 1973 a Petropolis. Lo iugoslavo, anch’egli un talento combinativo di prim’ordine, conduceva il torneo con 7 punti e mezzo su 10 ed era considerato un possibile candidato al titolo mondiale.
Se si esamina questa partita senza l’ausilio di commenti o del motore scacchistico, ci si rende subito conto che il bianco nella fase iniziale sacrifica una torre per l’attacco senza che si veda una strada chiara per ottenere la vittoria.
La posizione che ne deriva è di enorme complessità in quanto del tutto sbilanciata: i 2 pedoni centrali bianchi avanzati spaccano in 2 la posizione del nero, ma le possibilità di un attacco da matto vincente non si vedono nitidamente. La situazione si chiarisce alcune mosse più tardi con il sacrificio della seconda torre sull’alfiere in c5 ed infatti, dopo alcuni scacchi al re bianco e la restituzione di materiale, la posizione del nero crolla. Nel mezzo dei 2 sacrifici, come vedremo, si gioca sul filo del rasoio con il nero che manca alcune occasioni per salvarsi.
La circostanza più incredibile è che Liubojevic aveva studiato a fondo l’apertura (avendola giocata vittoriosamente di bianco l’anno prima) e riteneva di aver trovato un importante miglioramento per il nero, ma non poteva immaginare che Bronstejn avrebbe trovato davanti alla scacchiera il modo per creare un immane scompiglio con i suoi sacrifici devastanti. Va aggiunto ancora, che dopo questa dura sconfitta, Liubojevic non si riprese più e mancò la qualificazione per i match di qualificazione al titolo mondiale.
Vediamo adesso gli sviluppi del gioco con i commenti (riportati necessariamente in modo sintetico) di Timman, Keres, Kasparov, dello stesso Bronstejn nonché oggi dell’immancabile Stockfish.
ancora una volta superlativo
Veramente bello, la ringrazio per la sua esposizione. Tempo fa acquistai il libro “Zurigo 1953”. Certo l’Unione Sovietica ha visto tantissimi scacchisti di grande spessore…..
Ringrazio te per i complimenti.Zurigo 1953 è un testo molto scorrevole e piacevole da leggere, ma oggi assume soprattutto un valore storico. L’Apprendista Stregone è invece un volume didattico , molto istruttivo e geniale nell’approccio, nel complesso più pratico che teorico.
Bell’articolo e bella partita!
Bellissimo articolo, grazie!
Grazie a tutti voi; non conoscevo molte delle foto inserite da Martin, devo dire che sono molto belle con un bianco e nero d’epoca azzeccatissimo.