Gli scacchi, la fortuna e la sfortuna

Scritto da:  | 11 Giugno 2023 | 12 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Italiani, Personaggi

Roberto Magari nacque a Firenze il 7 dicembre 1934. Nell’arco della sua vita fu matematico, logico matematico, cultore di giochi (non solo matematici), scacchista (conseguì il titolo di Candidato Maestro), e anche un po’ filosofo. Esiste un libro, dedicato a lui, intitolato Roberto Magari Una mente algebrica, curato dal suo allievo e assistente universitario Paolo Pagli, con un intervento di Roberto G. Salvadori (filosofo, storico e appassionato di Scacchi, oltreché caro amico di Magari). Si tratta di una pubblicazione a cura del Dipartimento di Matematica con un contributo dell’Università di Siena [QuattroVenti, 2000].

Incontrai Roberto Magari al secondo turno del torneo di categoria Seconda Nazionale del V Festival Scacchistico Internazionale svoltosi a Bagni di Lucca, in Garfagnana, dal 19 al 27 giugno 1982. Io avevo il Bianco e l’Apertura fu la Difesa Siciliana, Variante Čeljabinsk; la partita terminò patta d’accordo, ma il risultato fu incerto fino all’ultimo. A quel tempo, ero uno studente di Liceo Scientifico e ancora non conoscevo il professor Roberto Magari di fama.

In questo articolo non intendo parlare dei contributi scientifici di Roberto Magari, specialmente in Algebra e in Logica matematica, né delle sue idee in merito a particolari questioni religiose, né della sua attività politica; e nemmeno della sua vita privata, a volte molto sofferta. Mi soffermo soltanto sul tema espresso nel titolo, facendo riferimento all’intervento Scacchi e Probabilità tenuto dal Nostro nel corso del convegno Matematica e Scacchi L’uso del Gioco e degli Scacchi nella didattica della Matematica, organizzato dalla Lega Scacchi UISP (Unione Italiana Sport Per tutti) [Forlì, 18 settembre 1992], nel quale egli affronta anche il tema suddetto. L’intervento, di cui trascrivo alcuni frammenti con qualche lievissima modifica non sostanziale, si trova negli Atti del Convegno (pp. 68-77).

Generalmente gli Scacchi sono reputati un gioco deterministico, ossia privo di fattori aleatori. Il Nostro premette una considerazione: «Appartenendo all’onorata categoria scacchistica dei “polli” ho una naturale indulgenza verso chi, avendo perso, parla di circostanze avverse o addirittura di “sfortuna”. Questo non toglie che, a prima vista, i luoghi comuni circa l’assenza di questo fattore dagli scacchi siano attendibili».

Il Nostro fornisce allora una definizione matematica, quindi rigorosa, di fortuna e sfortuna di un individuo in una determinata situazione (utilizzando anche il concetto di speranza matematica). Prosegue con l’enunciazione del teorema sugli Scacchi dovuto a Ernst Zermelo (senza nominare quest’ultimo), nella forma: «Si verifica una (e una sola) delle seguenti possibilità: a) Esiste una strategia vincente per il Bianco; b) Esiste una strategia vincente per il Nero; c) Esistono due strategie di patta, una per il Bianco e una per il Nero». Subito dopo fa il seguente commento: «Sono cose ovvie, ma uno dei compiti di chi vuole insegnare Matematica è proprio quello di far notare le cose ovvie e di far constatare quanto l’esplicitarle sia utile per le analisi successive». A mio avviso, in tale circostanza Magari dimostra di non aver colto pienamente il significato del teorema di Zermelo sugli Scacchi, perché non si tratta di un teorema “ovvio” (si veda il mio articolo Il Teorema degli Scacchi)!

Il Nostro continua: «Sappiamo bene che durante il gioco nessun giocatore può fare un’analisi completa, se non in casi particolari molto semplici. Ci si limita a un’analisi parziale in cui l’elemento fondamentale è un insieme di giudizi su certe posizioni, legati a parametri a volte espliciti e a volte ignoti all’analista stesso, e questi giudizi non dipendono da un’ulteriore analisi combinatoria. Salvo casi particolari, ogni scelta di un giocatore è affidata quindi a giudizi che possiamo ritenere, in ultima analisi, della forma: “La situazione A è preferibile alla situazione B”. Questi giudizi non si basano su un’analisi delle varianti ma soltanto su un certo numero (grande, probabilmente, ma non certo paragonabile al numero delle situazioni possibili) di elementi (disparità di materiale, occupazione di una colonna aperta, spazio controllato, ecc.). Appare assai improbabile che un qualsivoglia criterio di giudizio basato su un numero di parametri relativamente piccolo (rispetto al numero delle situazioni possibili) possa presentare il caso fortunato di classificare tutte le posizioni vinte (cioè, che risulterebbero vinte dopo un’analisi completa) come preferibili a tutte le situazioni patte, e queste come preferibili a tutte le situazioni perse. Per ogni giocatore esisteranno, quindi, coppie (A, B) di situazioni tali che A è in effetti inferiore a B (per esempio, A è patta e B vinta), ma è ritenuta superiore o equivalente a B dal giocatore. Supponiamo ora che un giocatore, diciamo il Nero, abbia la scelta fra due mosse che portano a due situazioni C e D per lui perdenti, e che egli giudica equivalenti e precisamente perdenti, come [in realtà] sono. Tuttavia, la situazione C mette il Bianco di fronte alla scelta fra due situazioni A e B che egli giudica equivalenti, ma che [in realtà] non lo sono, mentre la [situazione] D mette il Bianco soltanto di fronte a possibilità che egli giudica correttamente. Se il Nero sceglie C e il Bianco fa la scelta sbagliata, possiamo dire che il Bianco è stato “sfortunato” [e il Nero “fortunato”]. Il punto è che, poiché nessun giocatore è in grado, in mancanza di un’analisi completa, di dare giudizi sempre corretti, simili circostanze si presentano [effettivamente]».

Magari, poi, afferma: «Naturalmente, altro è dire di avere avuto fortuna o sfortuna nel senso suddetto, altro è credere a una deità più o meno maligna che perseguiterebbe il povero giocatore. Eventuali forze maligne risiedono, c’è da pensare, nel giocatore stesso e sono di pertinenza dello psicologo (che può essere il giocatore stesso in vena di autoanalisi)».

A pagina 126 del libro menzionato all’inizio, si legge: «Roberto Magari morì il 5 marzo 1994, prima di chiudere il suo 60° anno. La tomba, al cimitero senese del Laterino, riporta la frase da lui voluta, in risposta a una precisa richiesta di pochi giorni prima. Il significato è trasparente per tutti gli amici di Roberto: Se potessi sapere di essere veramente morto sarei felice»…

avatar Scritto da: Giorgio Della Rocca (Qui gli altri suoi articoli)


12 Commenti a Gli scacchi, la fortuna e la sfortuna

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    Fabio Lotti 11 Giugno 2023 at 13:47

    Grazie Giorgio. Ho conosciuto e giocato con Roberto Magari al circolo di Siena. Un bel ricordo di una splendida persona.

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    Giancarlo Castiglioni 11 Giugno 2023 at 23:53

    Mi sembra ovvio che il teorema di Zermelo, almeno nella enunciazione riportata, è sbagliato.
    Oltre al caso c) “Esistono due strategie di patta, una per il Bianco e una per il Nero” esistono anche un caso d) Esiste una strategia di patta per il Bianco, ma non per il Nero e un caso e) Esiste una strategia di patta per il Nero, ma non per il Bianco.
    A parte queste elucubrazioni teoriche, la fortuna a scacchi esiste in modo molto più concreto.
    Per esempio all’ultimo turno di un torneo a sistema svizzero, si può incontrare un avversario demotivato fuori dai premi, il cui primo pensiero è quello di prendere l’auto e tornare a casa, o un avversario in corsa per la promozione che si impegna al massimo.

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    Paolo Landi 12 Giugno 2023 at 08:25

    Articolo molto interessante,grazie,non conoscevo questo professore appassionato di scacchi. Da profano mi è subito venuta in mente un’altra possibilità: il bianco, o il nero, sta meglio,ma non c’è una strategia vincente,ma forse non ho compreso bene il senso più profondo di questo teorema… Quanto alla fortuna nel nostro gioco certo che conta,ma in genere si pensa a tutte le circostanze esterne alla partita in sé. Tra due computer che giocano, ad esempio, è difficile pensare che una macchina si è svegliata con il mal di testa…:-)

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    Alessandro 12 Giugno 2023 at 16:31

    Sono stato allievo e amico (non ricordo bene in quale ordine cronologico) di Roberto. Ci siamo conosciuti più o meno nel ’75, quando iniziò a frequentare il circolo di Siena. Fu l’inizio di un periodo entusiasmante. Nel ’76 mi iscrissi alla facoltà di matematica e lui fu il mio punto di riferimento per tutto il periodo dell’università. Roberto era una persona dalle doti davvero rare, perchè univa ad una intelligenza straordinaria una sensibilità anch’essa fuori dal comune. Spesso riusciva a capire i miei dubbi prima ancora che io stesso li avessi anche solo compresi.
    A Roberto, dal 1994, dedichiamo il torneo di Siena.
    Non ricordavo le sue riflessioni sulla fortuna negli scacchi e le ho lette con molto piacere, grazie! E non mi meraviglia affatto la sua posizione sull’argomento. Come ogni giocatore esperto di scacchi sa bene, la fortuna a scacchi esiste, eccome. Certo, è praticamente impossibile che influisca sensibilmente sulla carriera di un giocatore, ma nella singola partita ci sono molti eventi aleatori che possono determinare il risultato.
    Incontrare un avversario più forte ma demotivato è solo un esempio. E se invece avesse un malessere durante la partita? E se avessi trovato per caso un diagramma con una combinazione vincente lasciato nel cassetto della mia camera di albergo da qualcuno la sera prima e il giorno dopo si verificasse in partita la stessa posizione? (Questo esempio dimostra che la nostra preparazione tecnica è in piccola parte aleatoria.) Per non parlare dei cellulari dimenticati accesi che squillano, magari perchè qualcuno viene “sorteggiato” per una proposta commerciale proprio mentre è in corso la partita (qui voi direte: vabbé, mal cercato…, tuttavia quello squillo è pur sempre un evento aleatorio).
    Ma anche senza fattori esterni così eclatanti la fortuna, intesa come aleatorietà, può essere sempre presente sulla scacchiera. Si pensi ad esempio ad una scelta fra la variante A e la variante B (entrambe di 6 mosse complete) di un giocatore in grado di calcolarne bene solo 5 e che sta giocando contro un avversario più debole, in grado di calcolarne solo 3. E ammettiamo che le prime 3 mosse della variante siano forzate (scacchi al re o cambi di pezzi). Ecco che dopo le 3 mosse si entra nel “raggio di calcolo” del secondo, che riuscirà a punire l’errore, pur avendo minore capacità.
    Non per nulla la tanto odiata tabella Elo si basa proprio sul calcolo probabilistico dei risultati: non sempre, infatti, il più forte vince.

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    Giorgio Della Rocca 12 Giugno 2023 at 18:27

    Mi fa piacere che il mio articolo abbia suscitato l’interesse di articolisti e commentatori (del blog) dello spessore dei precedenti.

    Ringrazio Fabio Lotti. Ero quasi certo che sarebbe stato lui il primo a commentare l’articolo…

    A Giancarlo Castiglioni e Paolo Landi rispondo, anzitutto: “La Matematica non è un’opinione”
    (sebbene il detto originario fosse: “L’Aritmetica non è un’opinione”)!
    Esistono distinte formulazioni del teorema di Zermelo sugli Scacchi, tutte sostanzialmente equivalenti fra loro. Quella da me trascritta nell’articolo Il Teorema degli Scacchi corrisponde a quella utilizzata dal matematico Roberto Lucchetti nel saggio cui ho fatto riferimento nello stesso articolo, ed è la mia preferita. Ma anche quella riportata da Roberto Magari nel suo intervento, nella quale si fa uso del concetto di strategia nell’ambito della Teoria matematica dei Giochi, è una formulazione corretta del teorema suddetto (non credo che possano sussistere le alternative d ed e di cui si parla nel secondo commento).
    Riguardo a fortuna e sfortuna è evidente che, anche nel Nobil Giuoco, esse possono presentarsi in modalità concrete (e, se vogliamo, “banali”). Tuttavia, l’intento di Magari è parlarne in maniera sufficientemente rigorosa; nel suo intervento, prima di fornire le relative definizioni, dice: «Per affrontare l’argomento, occorre anzitutto sovrapporre al concetto vago di “fortuna” del senso comune un concetto rigorosamente definito».

    Ringrazio Alessandro Patelli (il quale, se non erro, possiede il titolo scacchistico di Maestro).
    Concordo con lui sulla considerazione secondo cui, da una disamina dell’intera carriera di uno scacchista,
    si dovrebbe evincere come i fattori aleatori, di qualunque tipo, vi abbiano influito solo in minima parte.

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    Giancarlo Castiglioni 12 Giugno 2023 at 23:28

    Rimango della mia opinione. Se esistesse una strategia di patta per il bianco, non vedo perché questo debba valere automaticamente anche per il nero.
    Si tratta di opinioni, non c’è niente di dimostrabile.
    Ho riletto l’articolo cercando di capire cosa intendesse Magari per fortuna negli scacchi.
    In definitiva banalmente un giocatore è fortunato se l’avversario sbaglia.

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    Ugo Russo 13 Giugno 2023 at 17:39

    Ottimo articolo.
    Ritengo gli scacchi uno dei pochi, forse l’unico gioco, in cui la fortuna non abbia a condizionare in alcun modo il risultato finale, a differenza per esempio dei giochi di carte in cui l’alea è costituita dalla distribuzione iniziale dell carte.
    La fortuna tuttavia condiziona spesso i risultati anche a scacchi, non già appunto per quanto riguarda le regole, ma solo perché i giocatori sono esseri umani e non macchine.
    Un esempio? Se gioco contro un forte maestro dovrei perdere praticamente sempre ma magari (!) mi capita di incontrarlo proprio in quel fatidico giorno in cui lo affligge una terribile emicrania: ecco la mia fortuna.
    Legata appunto alle cose umane, non già al meccanismo degli scacchi.
    Di nuovo complimenti, e all’autore e ai qualificatissimi commentatori.

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    Giorgio Della Rocca 14 Giugno 2023 at 19:11

    A Giancarlo Castiglioni:
    Mi dispiace per te, ma il teorema di Zermelo sugli Scacchi (anche nella formulazione riportata da Roberto Magari nel suo intervento) costituisce ormai un risultato matematico-scacchistico acquisito
    (a meno che qualcuno non trovi almeno un errore nella dimostrazione, in grado di inficiarlo…).

    A Ugo Russo:
    Ti ringrazio per l’apprezzamento del mio articolo.

    A entrambi:
    Leggendo i due commenti precedenti, mi sembra non vi sia molto chiaro che Magari intende mostrare (attraverso considerazioni informali, non mediante un vero e proprio teorema) come, nel gioco degli Scacchi, certi errori – e quindi la presenza di fortuna e sfortuna, debitamente definite – siano inevitabili, perché dipendenti non tanto dalla mancanza di bravura di un giocatore, quanto piuttosto dall’abnorme complessità del gioco stesso (motivo per cui è praticamente impossibile effettuarne un’analisi completa)! Tali errori possono essere compiuti da qualunque tipo di giocatore, dal dilettante al campione e al programma informatico…

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    Enrico Paganelli 15 Giugno 2023 at 09:47

    Tanti anni fa al penultimo turno di un torneo giocavo di fianco ad un arcigno signore che al momento di abbandonare sbottò con la moglie : “Prepara le valigie,partiamo stasera”.
    La mattina dopo,andando a guardare gli accoppiamenti dell’ultimo turno mi trovai abbinato al burbero giocatore.All’ora stabilita mossi e4 , schiacciai l’orologio e me ne andai in spiaggia per un’oretta.
    Piccolo esempio di fortuna negli scacchi,per così dire.

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      Biavati 15 Giugno 2023 at 12:02

      scusa ma mi sfugge in cosa esattamente tu sia stato così fortunato: hai vinto una partita per forfait all’ultimo turno quando magari sarebbe stata anche ininfluente per la classifica finale di entrambi?
      io personalmente piuttosto che vincere per forfait preferisco perdere ma giocare

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        Enrico Paganelli 17 Giugno 2023 at 17:24

        Non per nulla ho scritto “per così dire” .
        In quel torneo tre vittorie una patta e tre sconfitte.
        Due vittorie furono per forfait.
        Avevo sedici anni, terza sociale, giocavo con gente che aveva molti anni più di me.

        Alla napoletana : “E ch’aggia fa ? Aggia murì ? “

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    Sergio Pandolfo 22 Giugno 2023 at 21:22

    A proposito della fortuna, vi cito Gerald Abrahms, il quale distingueva tra “chance” e “luck”, comunque assumendo che entrambe esistono negli scacchi:“Chance is the unknown factor which makes the outcome of good play uncertain – where, for example, the winning of material appears to be the best available process of play, yet does not yield victory. This is different from luck, which is what occurs when bad play is met by worse play, or when a haphazard move turns out to be a good one.”
    (Gerald Abrahams, The Chess Mind, English Universities Press, London, 1951, p.183)

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