Violenza oscena

Scritto da:  | 4 Gennaio 2024 | 5 Commenti | Categoria: C'era una volta, Personaggi, Stranieri

Nota del traduttore/Presentazione

Il 1993 è un anno storico per gli scacchi: a seguito di dissapori coi vertici della Fide, e complice l’insoddisfazione relativa alle condizioni previste per il match che avrebbero dovuto giocare, il Campione del Mondo in carica Garry Kasparov e colui che il sistema di qualificazione Fide aveva definito come il suo sfidante, ovvero Nigel Short, attuarono un clamoroso scisma e, coadiuvati da Ray Keene, decisero di organizzare il match per il titolo per conto loro, estromettendo la Fide stessa. Nacque così la PCA, una federazione parallela alla Fide che avrebbe dovuto rappresentare gli interessi degli scacchisti professionisti. Ma, soprattutto, dopo che la Fide ebbe squalificato sia Kasparov che Short, e organizzato un nuovo match “ufficiale” tra Karpov e Timman (vinto dal primo), si assistette allo sdoppiamento del titolo di Campione del Mondo. Tale sdoppiamento – definito di recente da Kasparov (apertamente pentito delle sue scelte di allora) “a very big damage to chess” – ha notoriamente segnato gli scacchi nella seconda metà degli anni Novanta e nella prima metà degli anni 2000, fino alla riunificazione mediante il match (anch’esso ricco di polemiche: si veda la famosa controversia del Toiletgate) tra Kramnik e Topalov del 2006.

In questi mesi, è ricorso il trentennale del match del 1993, che venne giocato proprio in autunno. Si è così pensato di ricordare quell’evento in una maniera peculiare: si è tradotto un articolo di quegli anni di un importante autore scacchistico, il GM e 4 volte Campione d’Olanda Hans Ree (di cui non era ancora stato tradotto nulla in italiano), nel quale si discutono due libri usciti in quegli anni, che dipingono a tutto tondo e senza fare sconti le personalità ricche di sfaccettature dei due contendenti e restituiscono l’atmosfera di un mondo scacchistico che, per quanto relativamente vicino nel tempo, è, per via della rivoluzione apportata nel gioco dai programmi negli ultimi decenni, molto diverso da quello odierno.

Si ringraziano l’autore e la casa editrice Russell Enterprises – che ha pubblicato nel 1999 il libro “The human comedy of chess”, da cui l’articolo qui proposto è tratto – per avere gentilmente e prontamente acconsentito alla pubblicazione della presente traduzione.

Traduzione dall’inglese di Andrea Aliferopulos

(da ‘The human comedy of chess’, 1999)

Nel suo libro Mortal Games, Fred Waitzkin descrive la calma sorprendente con cui Kasparov aveva accettato la sconfitta al torneo di Linares del 1991. Non si era trattato una sconfitta se non per i suoi standard: era arrivato secondo dietro a Ivanchuk. Per tutto il corso del torneo si era comportato come se il mondo gli stesse crollando addosso. Ma, nel momento in cui si era materializzata la sconfitta, dice Waitzkin, sembrava si fosse tolto un peso. Non era il superuomo che poteva vincere ogni torneo e non era la fine del mondo. Successivamente, mentre si trovava in compagnia di Waitzkin fuori dall’Hotel Anibal, ognuno coi propri bagagli, e gli altri giocatori si trovavano ancora all’interno, rivolto verso l’albergo aveva detto: “È un gruppo colorito, non trovi? Anche Kamsky. Il padre è un personaggio. Il mondo degli scacchi ci guadagna con lui in giro”. Uno atto di perdono stupefacente, visto che durante il torneo papà Rustam aveva provocato un bel tumulto, accusando Kasparov di avere avvelenato il cibo di suo figlio Gata. Si trova qualcosa di simile nel libro The inner Game di Dominic Lawson. La sfida Kasparov-Short per il campionato del mondo si è appena conclusa. Mezz’ora dopo l’ultima mossa, capita che Kasparov e Short vengano a trovarsi nello stesso ascensore all’ Hotel Savoy. Incrociano gli sguardi, ma non si parlano. “Però, quando richiamo alla mente i volti dei due uomini … non mi viene difficile dire quale, tra i due, irraggiasse maggiore contentezza: era quello dello sconfitto”, scrive Lawson.

Questi non sono che due raggi di speranza in un mondo altrimenti oscuro. Gli scacchi sono un mondo in cui, se si deve credere a Waitzkin e a Lawson, l’ego delle persone viene distrutto, i secondi vengono corrotti, le stanze vengono controllate in cerca di cimici, e tutti gli sporchi trucchi possibili e immaginabili vengono messi in campo. Ora, non si può negare che negli scacchi un lato oscuro ci sia, ma ce n’è anche un altro. Per secoli gli scacchi hanno avuto il potere di affascinare milioni di persone, il cui primo e principale obiettivo non era di distruggere l’ego di qualcun altro. Waitzkin non descrive solo gli aspetti foschi del mondo scacchistico, ma anche il fascino del gioco. È evidente che ama gli scacchi. Probabilmente Lawson è un giocatore migliore, ma, nel suo libro, dell’amore per il gioco non c’è traccia alcuna. Coloro che leggano The inner Game senza una conoscenza di prima mano del fascino del gioco probabilmente finiranno per sviluppare una colossale antipatia per i giocatori. Dal modo in cui Lawson li descrive, viene voglia di rinchiuderli tutti nella piccola sezione riservata ai predatori allo zoo.

Fred Waitzkin, giornalista americano, è anche l’autore di Alla ricerca di Bobby Fischer, dedicato alla carriera scacchistica di suo figlio Joshua. Dal libro è stato tratto un film che ha avuto ottime recensioni, ma non è stato un successo al botteghino. Il che non deve avere sorpreso Waitzkin, visto che uno dei temi ricorrenti dei suoi due libri dedicati agli scacchi è la terribile situazione degli scacchisti professionisti statunitensi, che sono sistematicamente disprezzati, vituperati, e che in generale sono senza un soldo. Waitzkin era entrato in contatto con Kasparov tramite suo figlio – che nel 1989 aveva preso parte a una simultanea tenuta dal campione del mondo – e ne era diventato amico. Si era unito al tour di Kasparov in Francia, era presente al Campionato del Mondo del 1990 contro Karpov a New York e a Lione, era andato al torneo di Linares, aveva visitato Kasparov a Mosca e lo aveva accompagnato nel suo tour promozionale negli Stati Uniti. È possibile che non siano state esperienze del tutto facili.

Il recensore di Mortal Games per l’International Herald Tribune ha osservato che non era chiaro per quale motivo Waitzkin avesse avuto fin dall’inizio atteggiamenti amichevoli nei confronti di Kasparov. Il punto era solo che voleva scrivere un libro su di lui? Non credo. “Desideravo piacergli quasi più di quanto desiderassi scrivere il libro”, confessa Waitzkin. Waitzkin ama gli scacchi, ammira Kasparov e ne desiderava in maniera genuina l’amicizia. Non fa mistero del fatto che ciò si sia rivelato talvolta difficile. Kasparov aveva spesso atteggiamenti tirannici. Le persone intorno a lui dovevano provvedere a ogni suo capriccio. A Waitzkin veniva detto quali libri e quali discorsi leggersi. Una volta Kasparov gli disse – a lui, giornalista professionista – di eliminare alcune cose da un articolo, perché così il testo (in inglese!) sarebbe scorso meglio, e lui provvide. Kasparov era ruvido. Waitzkin scrive con umiltà: “Delle volte si gira dall’altra parte e non mi guarda, come se avessi peccato, peccato in maniera orribile. In quei momenti, vorrei essere da un’altra parte”.

L’ammirazione di Waitzkin per Kasparov ripara ogni cosa, e c’è molto da ammirare. Non soltanto gli scacchi, ma anche l’energia incontenibile con cui Kasparov vive tre vite contemporaneamente: campione del mondo di scacchi, uomo d’affari e attivista politico. La sua energia elettrizza tutto il suo entourage. Inizialmente Waitzkin aveva i suoi dubbi sull’acume politico di Kasparov, ma successivamente ne rimase impressionato. Nel 1990 Kasparov aveva previsto che Gorbaciov, che ai tempi odiava, sarebbe stato estromesso prima della fine del 1991, e che in quello stesso anno l’Unione Sovietica e il comunismo avrebbero smesso di esistere. Un anno dopo, durante il colpo di stato a Mosca, Kasparov disse immediatamente al talk show di Larry King che il colpo sarebbe fallito entro 48 ore a causa della mancanza di supporto. Sul momento gli venne riso in faccia, ma si rivelò essere nel giusto. Al nostro campione del mondo non manca acume politico. Se, poi, sia tagliato per la politica, è un’altra questione.

I movimenti politici nei quali Kasparov svolge un ruolo di leadership sembrano destinati a finire in liti e in scismi e alla frammentazione. Ma questa è una mia speculazione, non di Waitzkin. Mortal Games si rivolge tanto agli scacchisti quanto ai non scacchisti, e possiamo solo sperare che questi ultimi desiderino essere informati sulle vite dei top players nella misura in cui se ne parla nel libro. Ci sono anche alcune cose che anche noi giocatori non conoscevamo. C’è un capitolo scioccante sul pogrom antiarmeno a Baku, che costrinse Kasparov a volare repentinamente a Mosca assieme alla famiglia e agli amici. Ed è divertente il capitolo in cui Waitzkin va a Mosca ad osservare Kasparov nei panni dell’affarista. Vediamo Kasparov, con al rimorchio sempre una squadra di guardie del corpo, gestire grossi affari nel suo ufficio a Mosca, affari che non sempre trovano l’approvazione del suo manager, Andrew Page. La lista di progetti di business di Kasparov e Page fa impressione: export di mele e melograni; operazioni di raffinamento del petrolio, vendita di automobili; export di sculture russe; affitto di camere d’albergo a compagnie aeree; la compravendita del GUM, il più grande magazzino al mondo; la compravendita di una stazione radio; la produzione di set scacchistici, con conseguente creazione di posti di lavoro per i disoccupati di Mosca; un ufficio di management finanziario per atleti sovietici. Ma solo alcuni di questi progetti in effetti prendono corpo. Come dice Page: “Francamente, il business non è il suo forte. Ne gode in quanto esercizio intellettuale. Si entusiasma per uno dei suoi progetti, e poi pensa che, visto che se ne è interessato per qualche minuto, qualcosa debba accadere.”

Il giocatore olandese Jan Timman compare nel libro di Waitzkin per alcuni trattamenti piuttosto ingenerosi: “Non è un giocatore serio”, dice Kasparov da qualche parte. Altrove gli sono attribuite “forti riserve sul gioco di Timman”. All’inizio del match Kasparov-Karpov a New York, Waitzkin sentì Timman parlare con Seirawan e Spassky in una delle sale-vip e gli sentì esprimere apertamente la sua antipatia per Kasparov. Abbastanza comprensibi+ le, viste le cose sgradevoli che Kasparov aveva detto nei suoi riguardi. Tuttavia, comprensibile o meno, il fatto è che Timman non era neppure presente al match a New York. Waitzkin deve avere scambiato qualche altro personaggio anti-Kasparov per lui.

A essere onesti, però, Waitzkin non fa molti errori di questo genere. Nel complesso mi colpisce per l’accuratezza. Ciò che mi piace del suo libro è che, per quanto l’eroe sia Kasparov, non ne è il solo personaggio. Waitzkin ama la folla allegra e irriverente in sala stampa, ama Benkö con il suo libro teorico sui finali, e il reporter di cronaca nera che è rimasto talmente ammaliato dal gioco da seguire i giocatori da New York a Lione e per tutto il tragitto fino alla brulla Linares. Con qualche eccezione, apprezza anche gli avversari di Kasparov. Persino ai bari trasandati di Washington Square viene data nel libro una certa dignità.

Questa dignità è negata alle persone menzionate in The Inner Game di Dominic Lawson. Lawson era la persona che figurava quale “amico stretto di Nigel Short” nella cronaca della BBC del match Kasparov-Short. Altrove nel presente libro [The human comedy of chess, da cui è tratto il presente testo, N.d.T.], racconto le difficoltà incontrate da Lawson in quelle trasmissioni. È probabile che scrivere il libro non gli sia venuto più facile. Doveva descrivere un match dalla prospettiva dello sconfitto, e, a rendere la cosa ancora più difficile, l’esito non era mai stato in dubbio, visto che dopo la nona partita Kasparov aveva già 5 punti di vantaggio.

Lawson scrive in quanto amico di Short, e ripete più volte che Short è più maturo di Kasparov dal punto di vista emotivo, per quanto non fornisca alcun esempio concreto di comportamenti maturi da parte sua. Le varie difficoltà devono avere inacidito Lawson. Il libro sembra scritto per regolare dei conti. Hübner e Speelman, i secondi di Short, vengono trattati abbastanza bene. Vedremo più avanti come ne esca lo stesso Short. Per quanto riguarda gli altri, ho compilato un breve “Chi è chi nel mondo degli scacchi”, sulla base delle caratterizzazioni che si trovano in The Inner Game. Alcune provengono da Short, per come Lawson ne ha avidamente preso nota, ma la gran parte sono proprio di quest’ultimo. Scendete ora con me nelle caverne della mente di Dominic Lawson. Partiamo!

Kasparov: isterico, nevrotico, demoniaco (già alle pagine 2 e 3), animale, coglione, scimmione, bugiardo spudorato, etc.

Klara Kasparova: una nevrotica di dimensioni persino maggiori.

Tal: un bullo

Grandi Maestri in generale: una cricca di individui difficili, misantropi e complessivamente pazzi.

Hübner: acutamente definito come “ciò che tu chiameresti strambo, io lo chiamerei acutamente definito”.

Judit Polgar: un cane ammaestrato, nota anche come ‘Lassie’.

Spassky: un profondo antisemita.

Linares: buco di culo andaluso.

Timman: un coglione, come nella preghiera di Short ‘Dio per favore fammi battere questo coglione’.

Chandler, Hodgson (giocatori inglesi di prima fascia): teste di cazzo.

Pein (direttore del Chess Monthly): un subdolo.

Kavalek (un secondo di Short): un pascià insoddisfatto, che fa commenti del cazzo e ride alle spalle di Short delle sue sconfitte.

Cathy Forbes (giornalista): un’arpia.

Gli spettatori: zombie; mostri mangiauomini che godono della sconfitta di Short.

Analisti in sala stampa: commentatori puerili che giustamente guadagnano due lire appena e muoiono d’invidia.

Miles, secondo Lawson, il peggiore di tutti: un perfetto esempio di bruto dall’ego fragile; il più squilibrato dei nemici di Short.

Potrei andare avanti. Non c’è nessun personaggio positivo nell’intero libro, quindi? Sì, c’è un signore anziano seduto su una panchina all’interno di un parco che incoraggia Short (quando si trova dietro di sei punti) a tenere duro. Ma che hanno fatto i poveri scacchisti per meritarsi tutto questo? Alcuni hanno solo cercato di analizzare una partita. È un’attività che manda Lawson su tutte le furie: “Fare punti inutili in un post mortem privato”, scrive delle analisi di Timman relative a una sua partita contro Short, pubblicate sulla rivista New in Chess. Durante il match Kasparov-Short, il Times aveva pubblicato alcune analisi estremamente interessanti e approfondite da parte di Kasparov. Lawson però afferma che Kasparov voleva solo dimostrare di avere preso nel corso delle partite le decisioni giuste. Questo, a essere obiettivi, è completamente falso: Kasparov aveva mostrato piuttosto lucidamente dove lui stesso avesse commesso degli errori. Ma Lawson sembra incapace di afferrare il concetto per cui negli scacchi esiste qualcosa come la ricerca della verità oggettiva. Sotto questo rispetto – e mi dispiace dirlo, perché ho incontrato Lawson un paio di volte durante i match di Short, ed è una compagnia piacevole – è un autentico filisteo scacchistico.

Anche le analisi di Short erano state pubblicate sul Times. Ma Lawson rivela che i lettori erano stati ingannati. Short non aveva nemmeno parlato con il referente scacchistico del giornale, e aveva incaricato Speelman di mettere assieme alcune osservazioni di carattere generale a suo nome. “Il punto era che il più grande giocatore inglese di sempre non si curava granché delle sue partite una volta che erano finite”. A Lawson tutto questo piace. A me no. E si può immaginare che lo stesso Short non sia del tutto felice di vedersi dipinto come un buon selvaggio senza interesse per l’analisi, una volta che la partita è terminata. Non c’è nessuna ragione per cui Short dovrebbe essere contento del libro del suo “caro amico”. Io non considererei amico chi dovesse dipingermi nei termini in cui Lawson dipinge Short: di “vescica debole”, per dir così, se non proprio incontinente con l’ansia; un sadico che raggiunge il massimo dell’allegria quando ricorda (con la voce distorta in maniera anormale) quanto ha fatto soffrire i suoi avversari. Un sognatore di atti di violenza controllata e oscena, ossessionato dai soldi e pronto a frequentare i peggiori delinquenti, come il banchiere senza scrupoli Vasiljevic. Essere nemico di Lawson non deve essere il massimo, ma essergli amico è persino più pericoloso. Viene da chiedersi cosa vedano l’uno nell’altro questi due.

Perché Short tiene accanto a sé questa serpe? E perché Lawson trascorre diversi mesi nella comunità scacchistica che detesta? È difficile comprenderlo, ma si possono fare delle congetture. Al tempo del match Kasparov-Short, Dominic Lawson era direttore del rinomato settimanale conservatore The Spectator. (Mentre scrivo, è direttore del The Sunday Telegraph). È figlio dell’ex-Cancelliere dello Scacchiere. Sua moglie era amica della principessa Diana. Rappresenta il genere di circoli entro i quali Short vorrebbe muoversi. E, per Lawson, Short è il medium grazie al quale può regolare dei conti con il mondo scacchistico, entro il quale un tempo era considerato una promessa. I Grandi Maestri presenti in sala-stampa all’Hotel Savoy si erano formati delle opinioni indipendenti sulle partite del match Kasparov-Short. Spesso le loro valutazioni erano sbagliate. E lo sanno. D’altra parte, spesso avevano ragione, per quanto, a leggere il libro di Lawson, non lo si penserebbe. Lo stesso Lawson non è un giocatore abbastanza forte per formarsi un’opinione propria su una partita. Ma la sera poteva andare dal suo buon amico Nigel Short e sentire cosa si fossero lasciati sfuggire i giocatori in sala-stampa – e denigrarli, anche se di scacchi ne sanno molto più di lui.

Finito il libro, il lettore penserà che questi due si meritino l’un l’altro, ma non sarebbe giusto, perché non abbiamo sentito la versione di Short. La principale vittima di Lawson non è uno dei suoi tanti nemici, ma il suo caro amico Nigel Short.

avatar Scritto da: GM Hans Ree (Qui gli altri suoi articoli)


5 Commenti a Violenza oscena

  1. avatar
    Ugo Russo 4 Gennaio 2024 at 12:09

    !!! SPETTACOLARE !!!

  2. avatar
    Uomo delle valli 4 Gennaio 2024 at 12:17

    sì proprio interessantissimo
    complimenti

  3. avatar
    Gino Colombo 4 Gennaio 2024 at 13:09

    Articolo stupendo, come quelli di Landi, di Trabattoni e di altri splendidi scrittori qui, unisce episodi e storia scacchistica con belle immagini. Grazie all’autore e al traduttore. Bravissimi.

  4. avatar
    Giovanbattista 4 Gennaio 2024 at 18:08

    Molto bello. Complimenti anche da parte mia.

  5. avatar
    Paolo Landi 4 Gennaio 2024 at 18:24

    Magnifico articolo👏👏 Velenosissimi i commenti di questi due autori ed il trattamento riservato a Nigel Short da un suo presunto amico. In genere si avvalora l’immagine degli scacchisti come persone afflitte da ego smisurati, geni o del tutto folli. Di Kasparov non conoscevo le sue imprese affaristiche, anche se avevo intuito dalla lettura di alcuni suoi libri che amava essere un protagonista assoluto e che detestava perdere in qualunque vicenda umana o sportiva.

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