i segreti delle aperture

Scritto da:  | 31 Marzo 2024 | 19 Commenti | Categoria: Libri, Partite commentate, Recensioni

Negli anni, ormai lontani, in cui ho giocato a livello agonistico ero affascinato dalla teoria delle aperture e addebitavo ogni sconfitta alla debolezza della difesa o della variante prescelta. Inoltre, mi infastidiva ripetere le stesse posizioni e così andavo troppo spesso alla ricerca di novità. Nel giro di qualche anno, ho sperimentato un’infinità di difese con il Nero e le principali linee di apertura con il Bianco, con risultati che puntualmente giudicavo poco soddisfacenti.
La difesa Caro-Kann dopo qualche tempo mi sembrò troppo passiva, il Dragone Accelerato della difesa Siciliana troppo difficile da giocare, la difesa Pirc troppo rischiosa, la difesa moderna troppo sperimentale, la siciliana Paulsen troppo “teorica” e potrei continuare ancora a lungo.
A quei tempi (parliamo della seconda metà degli anni ’70) ero davvero stregato dalla teoria e dai libri di apertura. Circolava ben poco materiale utile alla preparazione, i migliori manuali erano in lingua inglese e molto costosi (chi non ricorda la favolosa editrice Batsford?). In libreria si trovava il manuale teorico-pratico delle aperture del Maestro Porreca, qualche monografia della editrice Mursia e poco altro.
In quel periodo, apparve sugli scaffali l’Enciclopedia delle Aperture (una serie di mattoni strapieni di varianti disseminate su lunghe colonne) e da qualche anno circolavano gli Informatori iugoslavi, con un ammasso di partite zeppe di simboli poco comprensibili e nessuna spiegazione pratica.
L’informatica era ancora lontana anni luce e le lezioni con i maestri un miraggio: mancavano sia validi istruttori, sia i fondi necessari nelle nostre povere tasche. Oggi ci sono tanti maestri che impartiscono lezioni in video chat, per non parlare dei corsi online o dei canali tematici su YouTube.
Quando smisi di giocare a tavolino e mi dedicai al gioco per corrispondenza, ebbi la fortuna di leggere un libro molto interessante. Prometteva nientemeno di svelare “I Segreti delle Aperture” ma il nome originale, nell’edizione americana, era: “How to open a chess game”.
Da noi è apparso, se non sbaglio, verso la metà degli anni ‘80; attualmente non mi sembra che sia in commercio e forse si può reperire ancora qualche copia nel mondo dell’usato.
Il libro è composto da una raccolta di articoli di vari autori: Larry Evans, Svetozar Gligoric, Vlastimil Hort, Lajos Portisch, Tigran Petrosian, Bent Larsen, Paul Keres. All’epoca, erano tra i più forti grandi Maestri in circolazione, basti pensare che tra quei nomi illustri c’era un leggendario ex campione del mondo (Tigran Petrosian).
Il volume è dedicato ai giocatori di livello intermedio, non ci sono lunghe sequenze di varianti, né approfondimenti teorici per pochi iniziati. Il libro affronta la fase iniziale del gioco con spirito didattico, e si rivolge all’allievo che non ha raggiunto ancora le vette magistrali del gioco.
Ecco alcune interessanti riflessioni che caratterizzano l’insegnamento di ciascun Maestro.
Larry Evans: “L’apertura -composta più o meno dalle prime 12 mosse- è una lotta per lo spazio, il tempo e la forza”.
Gligoric: “L’arte di trattare la fase iniziale della partita correttamente e senza errori è fondamentalmente l’arte di usare il “tempo” nel modo più efficace”. Hort: “Mi spingo fino ad affermare che scoprire una successione costante e ininterrotta di mosse che siano veramente le migliori, sfiora i limiti delle capacità umane, se addirittura non li travalica”. Oggi gli chiederei: che cosa ne pensa, Maestro, di un motore scacchistico da 3500 punti ELO?
Portisch: “Il vostro unico obiettivo nell’apertura deve essere quello di entrare in un centro di partita giocabile”. Tigran Petrosian: “Anche i più acclamati giocatori hanno subito, nel corso della loro carriera, cocenti sconfitte provocate o dall’ignoranza del seguito migliore o dalla temporanea messa a riposo del loro buon senso”. Bent Larsen: “Non gioco quasi mai una mossa di cui conosco la confutazione”. Ho evidenziato il quasi per sottolineare la sua nota spavalderia dei suoi anni migliori.
Ed infine Paul Keres: “Cercherò di illustrare in che modo una nota variante viene sezionata, sottoposta ad un rigoroso esame dei suoi principi e, nei limiti del possibile, arricchita da nuove idee”.
La sequenza degli articoli ha carattere progressivo. Apre i lavori l’americano Larry Evans, il quale illustra i principi generali, il concetto di spazio e quello di tempo, il valore del centro, la mobilità dei pezzi, equilibri e squilibri di forze.
Gligoric approfondisce i concetti fondamentali dell’apertura e commenta alcune gemme del grande Bobby Fischer, il campione che più di ogni altro in quell’epoca curava in modo maniacale la preparazione teorica.
Il cecoslovacco Hort si sofferma sul concetto di sviluppo dei pezzi secondo i principi del “Mio Sistema” del grande Aron Nimzowitsch ed esamina attentamente i suoi precetti: “cambio seguito da guadagno di tempo”, “liquidazione con risultante sviluppo e liberazione”, “centro mobile di pedoni quale elemento di forza in apertura”, “divieto di caccia ai pedoni in apertura, (tranne quelli centrali)”, “sintonia tra i pezzi e i pedoni”, ecc.
Hort spiega che in quasi tutte le aperture è possibile trovare mosse per nulla inferiori a quelle teoriche (oggi, grazie all’informatica, ne siamo tutti convinti, ma 40 anni fa era un concetto quasi rivoluzionario).
Lajos Portisch insegna i fondamenti delle aperture più famose. L’autore illustra un interessante repertorio per il Bianco e per il Nero e affronta, con chiarezza espositiva, le aperture di gioco chiuso e l’est-indiana in contromossa.
Tigran Petrosian si occupa di alcuni aspetti, per così dire “filosofici”, dell’approccio allo studio della teoria delle aperture, invitandoci a esaminare con spirito critico qualunque seguito appreso da libri o riviste specializzate. Egli ci esorta soprattutto a non concedere fiducia incondizionata alle mosse evidenziate nei manuali con eclatanti punti esclamativi e passa in rassegna, con fine ironia, alcune batoste la lui subite in epoca giovanile proprio per aver ciecamente creduto all’autorità di Maestri del calibro di Lisitsin e Romanovski. Quindi, passa in esame, in modo davvero impietoso, le sconfitte patite da grandi campioni a causa di varianti dubbie oppure di analisi errate.
Naturalmente, oggi, con l’avvento dei computer, il pericolo di incorrere in svarioni o suggerimenti fasulli in apertura è molto minore, ma resta il fatto che è facile perdere la bussola qualche mossa dopo “l’aiutino” del programma scacchistico se la sequenza è stata memorizzata acriticamente.
Bent Larsen ci illustra il suo approccio personale alle aperture: sperimentare di continuo, cogliere di sorpresa gli avversari, lottare per l’iniziativa, rispolverare sistemi di gioco trattandoli in modo “moderno”, trovare le falle nella teoria (ci confida: i voluminosi trattati sono pieni di errori ed anche incompleti).
Infine, Paul Keres ci propone un corso scacchistico sulle aperture di livello superiore. L’autore ci conduce nel suo laboratorio personale e ci mostra la nascita di un nuovo sistema nella partita Spagnola, la variante 11…Cd7 della Spagnola chiusa. Naturalmente, l’approccio teorico si alterna con la sperimentazione pratica nel corso dei vari tornei, fino al raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
Successivamente, Paul Keres esamina a fondo una variante che può scegliere il Nero nella partita Spagnola, denominata “Siesta” (5 c3-f5), in cui prevale l’aspetto tattico. Una variante di moda molti anni fa e molto pericolosa per il B. se non ha studiato i suoi sviluppi con la dovuta attenzione.
L’articolo si conclude esaminando il metodo di preparazione di un G.M. quando affronta un avversario specifico. L’importante, afferma Keres, è portarlo in posizioni che sono meno congeniali al suo stile e nelle quali non si senta a proprio agio.
Mi viene da aggiungere, a questo punto, un personale consiglio che può apparire finanche ovvio: chiunque dovrebbe cercare di giocare aperture o difese che non contrastino con il proprio stile di gioco. Giocare, ad esempio, sistemi in cui occorre impegnarsi a difendere a lungo e con pazienza la posizione, non s’addice al giocatore che è alla ricerca dell’iniziativa e ama attaccare fin dalle prime mosse. E viceversa.
Costruire un buon repertorio ponderato di aperture non è affatto semplice, soprattutto se si ha poco tempo a disposizione per la preparazione. E non servirà a molto memorizzare una serie di varianti e mosse alla rinfusa. A tutti è capitato che l’avversario, per ignoranza o per calcolo, abbia scelto una mossa meno giocata o non prevista dalla teoria ed allora ci si è ritrovi, già dopo le prime mosse, a navigare in un mare ignoto. Ecco perché è opportuno, per chi intenda migliorare il proprio gioco, approfondire un numero limitato di aperture cercando di afferrare i principi generali fin dalle prime mosse: spinte tematiche dei pedoni, controllo del centro, manovre liberatorie, posizionamento ottimale dei pezzi, ecc. Essenziale è l’attento esame di numerose partite giocate con quegli schemi dai grandi maestri.


Ed è opportuno sperimentare, di tanto in tanto, anche aperture diverse dalle solite, in modo da affrontare posizioni inusuali.
A mio avviso, scelta un’apertura o difesa che si addica al nostro stile, occorre approfondire il trattamento non solo dell’apertura, ma anche degli schemi tipici del mediogioco (i cosiddetti “pattern” ricorrenti). E se ci si accorge di aver dimenticato una mossa teorica (cosa che, prima o poi, nel corso della partita purtroppo succederà) non bisogna avvilirsi. L’importante è giocare una mossa sensata in grado di porre problemi al nostro avversario. Impareremo, nel corso della successiva analisi, a ragionare sui nostri errori e la prossima volta ci sentiremo meno impreparati.

Per concludere, vorrei riportare una interessante partita che ho giocato per corrispondenza negli anni ‘80 contro il forte maestro Fiorentino Palmiotto. Dopo aver abbandonato il gioco dal vivo, raggiunsi il livello di candidato maestro per corrispondenza, ma poi gli impegni lavorativi e familiari mi indussero, ahimè, a mettere da parte anche le famose “cartoline” scacchistiche che caratterizzavano questa istruttiva modalità di gioco.
Ho riscoperto questa partita sfogliando per caso un numero della rivista “I due Alfieri” cui sono stato abbonato per alcuni anni. La partita fu giocata nel corso del campionato italiano magistrale 1984-1985 e illustra in modo efficace i problemi derivanti da una scarsa conoscenza dell’apertura. Era la prima volta che utilizzavo la difesa ovest-indiana (quando giocavo a tavolino quasi tutti, sulle orme di Bobby Fischer, aprivano con e2-e4) e, all’epoca, avevo poco materiale a disposizione per approfondire la preparazione teorica.
Mi ha fatto piacere ristudiare questa partita a distanza di quarant’anni con l’ausilio di Stockfish e mi ha consolato l’idea che, alla fine, ho perso per aver commesso un solo errore grave, peraltro in una posizione difficile.
Il mio forte avversario, di cui riporterò i commenti apparsi sulla rivista, giocò magnificamente sacrificando materiale per un forte attacco sul re, ma lui conosceva perfettamente questo impianto di gioco e aveva studiato bene i suoi sviluppi.
Ecco come andò la partita:

avatar Scritto da: Paolo Landi (Qui gli altri suoi articoli)


19 Commenti a i segreti delle aperture

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    Paolo Landi 31 Marzo 2024 at 20:00

    Grazie Martin e buona Pasqua a tutti!
    Fiorentino Palmiotto, scomparso nel 2021, è stato un forte giocatore sia a tavolino che per corrispondenza. Ha vinto numerosi tornei individuali e a squadre. Fu arbitro internazionale e grande divulgatore del gioco. Sui “Due Alfieri” aveva una rubrica periodica sul gioco per corrispondenza, da lui ritenuto molto importante per la formazione dello scacchista. Oggi, con l’avvento dei programmi scacchistici, è una modalità di gioco in disuso e forse quasi del tutto abbandonata. Una partita di Fiorentino Palmiotto compare anche in uno dei magnifici volumi di Kasparov dedicati ai campioni del mondo, i suoi “Grandi Predecessori”. Una sconfitta patita contro il grande David Bronstein tanti anni fa. Ma a quell’epoca Bronstein era considerato uno dei più forti scacchisti in corcolazione, una leggenda vivente e talento assoluto nel gioco creativo e d’attacco.

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      Giorgio Della Rocca 17 Aprile 2024 at 21:00

      Paolo, hai aperto il tuo commento augurando «buona Pasqua a tutti!» nella ricorrenza della Pasqua cristiana – i Cristiani Ortodossi la festeggeranno il prossimo 5 Maggio, perché fanno riferimento al calendario giuliano invece che a quello gregoriano.

      Mi piacerebbe sapere, tuttavia, se tu intendessi la Pasqua specificamente nel senso cristiano (la Risurrezione di Gesù, il Cristo, benché ciò si situi oltre il livello della comprensibilità puramente umana e richieda un atto di fede religiosa, necessitando anche del supporto di concetti metafisici e teologici) oppure genericamente in senso naturale (il rinnovarsi della natura, esseri umani inclusi). Grazie.

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        Paolo Landi 19 Aprile 2024 at 09:27

        Ciao Giorgio, grazie per la tua domanda che merita una riflessione. Devo dirti che ho una mia personalissima visione religiosa della vita. Sento la Pasqua e le altre feste comandate come un momento di comunione in senso lato con tanti altri esseri umani. Ogni festa religiosa, ovunque nel mondo si celebri, per me dovrebbe rappresentare un inno alla pace e alla fratellanza. Spero di aver risposto in qualche modo alla tua domanda. A presto!

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          Giorgio Della Rocca 20 Aprile 2024 at 10:00

          Gesù ha detto: «Se uno mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Se invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» [Vangelo secondo Matteo 10,32-33].

          Posso non condividere le tue idee religiose personali, ma non posso non rispettare le tue scelte religiose personali.
          Nondimeno, osservo che la specifica identità cristiana non deve essere annacquata in un generico universalismo religioso; evitando, beninteso, il pernicioso integralismo cristiano.

          Mi fermo qui (per un blog che continui a chiamarsi SoloScacchi è anche troppo).
          Un Saluto (NonSoloScacchistico)

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    Uomo delle valli 31 Marzo 2024 at 23:15

    spettacolare come sempre
    bravissimo

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    Michele Panizzi 29 Maggio 2024 at 19:04

    Secondo me , sara´ che sono un umile NC , e´ giusta l opinione di Larsen :
    “Il rifiuto del Gambetto di Re dimostra la vigliaccheria dei Grandi Maestri contemporanei”
    afferma nel libro . Vogliamo parlarne ?

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      Giancarlo Castiglioni 30 Maggio 2024 at 10:02

      Non conoscevo questa opinione di Larsen, mi sembra una battuta da non prendere molto sul serio.
      Ho guardato sul database 365 chess e su 16.100 partite gambetto di re ci sono 8.751 di gambetto accettato 2…exf4 e 2.879 di controgambetto 2…d5.
      Sul master database su un totale di 715 partite ci sono 509 di gambetto accettato e 118 rifiutato.
      Quindi sul gambetto di re Larsen avrebbe dovuto dire che i grandi maestri non hanno il coraggio di giocarlo, non di accettarlo.
      Ma le ragioni per cui è giocato poco sono altre.
      Comporta un lungo studio della teoria, mentre la tendenza attuale è di uscire dalla teoria al più presto possibile per giocarsi la partita sulla scacchiera e non con la memoria.
      Poi non è molto promettente per il bianco.
      Giocando 1…e5 ho incontrato più volte il gambetto di re in torneo e soprattutto in semilampo, sempre accettandolo e con risultati molto buoni.
      Dopo una partita Fisher – Spasski persa Fisher pubblicò una “confutazione del gambetto di re” con 2…exf4 3.Cf3 d6; io preferivo 3…h6 ritardando d6, ma in sostanza la stessa idea.

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        Michele Panizzi 2 Settembre 2024 at 21:23

        Ciao Giancarlo , chiedo scusa : mi sono accorto di aver scritto due volte la stessa frase . Si´, comunque , il senso della frase di Larsen e´che la vigliaccheria dei GM odierni e´ dimostrata dal non giocare il Gambetto di Re ,
        non tanto di accettarlo . Dal mio modestissimo livello , le controindicazioni
        dell apertura , che comprendo concettualmente , non hanno molta presa .
        Aggiungo , semmai , che la spinta f4 crea una debolezza sul lato di Re .
        Ma le controindicazioni direi che hanno senso soltanto nella dimensione dell ideale . Mentre ripetevo il mio commento , ho pensato , che sarebbe decisivo
        controllare , dato che Larsen difendeva il GdR , controllare quante volte lo ha giocato .

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          Giancarlo Castiglioni 4 Settembre 2024 at 11:17

          Non ricordo partite di Larsen con il gambetto di Re.
          Esiste una famosa partita vinta da Spassky contro Fisher.

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    Filologo 2 Giugno 2024 at 15:48

    Quello che scrive Larsen non è un suo pensiero, ma ciò che stava scritto in un vecchio libro trovato nella casa dove aveva traslocato. Il geniale danese ricorda che per questo motivo aveva preso a giocarlo da bambino, ma che smise di farlo nel 1953, dopo aver sconfitto Penrose al Campionato mondiale juniores

  5. avatar
    Michele Panizzi 2 Settembre 2024 at 21:15

    Io invece vorrei ricordare , di Larsen , questa frase che mi e´ rimasta impressa e che vorrei fosse commentata dagli altri : “Non c e´segno piu´evidente della vigliaccheria dei tempi moderni , che vedere il rifiuto di giocare il Gambetto di Re”.
    Che ne dite?

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    punta arenas 13 Gennaio 2025 at 17:06

    Bell’articolo Paolo, compimenti! Non posso che approvare quel passaggio in cui scrivi: “…Ecco perché è opportuno, per chi intenda migliorare il proprio gioco, approfondire un numero limitato di aperture cercando di afferrare i principi generali fin dalle prime mosse: spinte tematiche dei pedoni, controllo del centro, manovre liberatorie, posizionamento ottimale dei pezzi, ecc. Essenziale è l’attento esame di numerose partite giocate con quegli schemi dai grandi maestri.” In effetti hai colto l’aspetto fondamentale, di una preparazione realmente scrupolosa nelle aperture: nulla è utile quanto giocare e assimilare un elevato numero di partite di alto livello, delle aperture e varianti che abbiamo scelto di giocare. Per quanto riguarda il “Manuale teorico-pratico delle aperture” del Porreca, permettimi solo una garbata ironia. Ricordo bene che quando lo vidi e sfogliai la prima volta, nel 1975, ne rimasi impressionato, da giovane principiante: un volumone, pieno di schemi, diagrammi, partite di ogni epoca, giocate in ogni luogo. Ricordo anche che all’epoca me l’aveva prestato un amico, e scrivevo su un quadernetto le varianti principali delle maggiori aperture: Spagnola, Siciliana, Francese, ecc. Oggi – rileggendolo – mi coglie un senso di tenerezza, come di fronte ad un caro ricordo inutilizzabile e superato del passato. Quello che sembrava “impressionante” all’epoca è solo un modesto e obsoleto prontuario di oggi. Tanto per fare un esempio: nel volume, tra le varianti della Siciliana, non c’è traccia dell’attacco Velimirovic con g4, nemmeno tra le varianti secondarie che Porreca commenta coi numeretti tra parentesi. E infatti, pochi anni dopo, iniziai a comprare i volumi dell’Enciclopedia jugoslava, che per lo meno era aggiornata in base alle partite più recenti dei maggiori tornei. Direi che il manuale del Porreca ormai è un reperto archeologico, forse la prima copia è stata trovata negli scavi di Pompei. :( Non me ne voglia il povero Porreca, che d’altra parte nella prefazione diceva subito che il suo manuale era adatto ai giocatori di medio livello (di allora degli anni ’70). Sicuramente la sua opera fu un contributo importante per l’epoca, e colmò una lacuna nella letteratura scacchistica italiana. Però le informazioni che forniva, già a quell’epoca, erano molto limitate…

  7. avatar
    Paolo Landi 13 Gennaio 2025 at 19:57

    Ti ringrazio per l’apprezzamento. In effetti il manuale di Porreca appartiene all’archeologia scacchistica sia nella forma che nei contenuti. D’altronde, come hai osservato, apparve all’inizio degli anni ’70 quando c’era ben poco in giro in lingua italiana. In qualche occasione l’ho sfogliato prendendolo in prestito da un amico (a quei tempi la mia paghetta era striminzita… ). Studiavo le aperture sul manuale di Pachman che non trovo più e se non sbaglio era in spagnolo. Successivamente, comprai l’enciclopedia essenziale di Gabor Kallai e devo dire che, rispetto al Porreca, era fatto molto meglio e fino a qualche anno fa lo consultavo ancora.

  8. avatar
    punta arenas 13 Gennaio 2025 at 20:37

    Grazie a te Paolo!
    Proprio perché ne stiamo parlando, e per essere più precisi al riguardo, ho preso il volume di Porreca, e stavo leggendo l’introduzione. Porreca dice di avere pensato di scrivere un manuale sulle aperture (1a edizione del 1971) quando aveva visto che nei tornei in Italia i giocatori meno esperti cercavano nel capitolo sulle aperture del suo “Il libro completo degli scacchi” (scritto con Adriano Chicco, ma semplice libro informativo) la risposta ai loro interrogativi teorici. E in seguito si accorse che in Italia l’unico testo sulle aperture era l’antichissimo “La partita d’oggi” del Salvioli. E allora maturò il progetto di un manuale moderno sulle aperture. E sicuramente, se pensiamo che il libro del Salvioli è del 1928 (!), per lo meno Porreca ha scritto un testo in cui trovi partite, schemi e giocatori moderni: Spassky, Korchnoi, Fischer, Tal, Larsen, Geller, Gligoric, Petrosian, ecc. ecc. E nel libro sono riportate ben 393 partite, tutte commentate, l’ultima è la Larsen – Kavalek Lugano 1970. E infatti nel giro di 3 anni la Mursia stampò 3 edizioni, quindi immagino che lo abbiano comprato davvero in tanti. Anche perché il libro polveroso e ammuffito del Salvioli non lo leggeva proprio nessuno, credo fosse introvabile, se non in qualche biblioteca. E però oggi, sfogliandolo, ti accorgi subito che il manuale del Porreca ti dà solo le varianti basilari di ogni apertura, e spesso in modo molto superficiale. Insomma, non credo che qualcuno possa dire di essersi seriamente preparato sulle aperture con quel manuale. E infatti io ricordo che già al primo festival cui presi parte, a Marina Romea nel 1976, molti giocatori giravano con gli Informatori jugoslavi sotto il braccio, oppure con le Enciclopedie delle aperture, sempre degli jugoslavi. Insomma, guardandolo oggi mi fa la stessa impressione di una macchina per scrivere Olivetti lettera 32. Un reperto archeologico, visto che nessuno oggi scriverebbe più a macchina (credo che l’ultimo che lo abbia fatto sia stato Indro Montanelli!). Ecco, il manuale del Porreca è – per le aperture – un po’ come la Olivetti lettera 32. Anche la Olivetti lettera 32 veniva usata da tantissimi negli anni ’60, perché era comoda e si poteva portare in giro, ma oggi è un oggetto obsoleto e inutilizzabile. Non so se ho reso l’idea…

  9. avatar
    Giancarlo Castiglioni 13 Gennaio 2025 at 23:14

    Io ho imparato le aperture sul libro completo degli scacchi di Porreca (molto buono), poi sono passato al Pachmann (4 volumi in tedesco) e all’enciclopedia delle aperture.
    Ma anche l’enciclopedia non bastava erano necessarie monografie su singole aperture.
    Tutto questo oggi è quasi carta straccia, PC e data base.

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      punta arenas 14 Gennaio 2025 at 07:28

      Secondo me il sistema migliore era prendere 5-6 degli ultimi Informatori, e studiare per bene un bel po’ di partite delle proprie aperture e varianti preferite. So di parecchi giocatori, anche di alto livello, che studiavano e si allenavano così. Le monografie sulle singole aperture mi hanno sempre lasciato perplesso, perché magari gli autori mettevano molto su una variante, e poco su un’altra. Invece Informatori + Enciclopedia era probabilmente il metodo più pratico ed efficace per approfondire le proprie aperture. Ovviamente stiamo parlando del periodo “pre-Internet”, quando ancora non c’erano i database di oggi.

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        Paolo Landi 14 Gennaio 2025 at 17:13

        Il fatto è che, per giocatori di medio-basso livello com’ero io, la sequenza arida di mosse, tipica di informatori e Enciclopedie, non aiutava a capire gli obiettivi, le idee, i piani di gioco. Alcuni libri “Come vincere con la siciliana” di Mark Taimanov o “Capire gli scacchi mossa dopo mossa” di John Nunn, che ho letto successivamente, pur non essendo monografici, aiutano molto di più nella comprensione delle varianti. Certo, poi occorre anche memorizzare se si vuol progredire seriamente e gli Informatori in questo erano utili. Tuttavia ricordo che costavano un botto all’epoca e ben poche partite alla fine si rivelavano utili per il proprio repertorio. Oggi su Lichess si hanno a disposizione gratis un’infinità di partite e di linee di gioco teoriche con l’analisi aggiuntiva del motore, una pacchia…

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          punta arenas 16 Gennaio 2025 at 11:36

          Non mi sembra che sugli informatori ci fossero “sequenze aride di mosse”, perché ogni partita veniva estesamente commentata da uno dei giocatori, quindi ogni partita veniva spiegata molto bene. Inoltre, anche Porreca era convinto che solo lo studio delle partite di un certo livello potesse aiutare ogni giocatore ad assimilare e memorizzare le varianti di ciascuna apertura. Poi, tutto può essere utile, anche gli insegnamenti di Taimanov e di Nunn, però non c’è dubbio che solo lo studio di parecchie partite, giocate da campioni di stili diversi, può aiutare ogni giocatore a crescere nella comprensione del gioco. Quanto al prezzo degli informatori, forse erano un po’ cari, però ricordo anche che tutti i circoli maggiori li compravano e li mettevano a disposizione nella loro biblioteca. Quindi volendo si potevano sfogliare al circolo, per poi magari fotocopiare solo le partite che interessavano. La SSM aveva una fotocopiatrice, ma penso che anche a Napoli la tenessero. Insomma, secondo me gli informatori all’epoca erano stati davvero utilissimi, e infatti ne vendevano tantissimi.

          • avatar
            punta arenas 16 Gennaio 2025 at 17:02

            Dimenticavo…
            Gli informatori jugoslavi erano veramente belli, perché in ogni numero c’erano circa 700-800 partite dai principali tornei mondiali, con i commenti dei migliori GM in circolazione: Fischer, Kasparov, Karpov, Tal, Anand, Larsen, Huebner, Timman, Korchnoi,Petrosian, ecc. ecc. Inoltre, in fondo a ciascun informatore trovavi tabelle e classifiche dei più importanti tornei, insieme a liste di giocatori aggiornate. Tanto per farti un esempio, ho qui davanti a me l’informatore n. 63 del 1995. In fondo c’è un elenco di 50 pagine di tutti i giocatori FIDE dell’epoca, e saranno più di 15.000, tutti con rating > 2000 punti. Poi in 30 anni quel numero è cresciuto enormemente – anche perché avevano allargato la base, anche sopra i 1000 punti. E però all’epoca – quando Internet era appena agli albori – un elenco simile era utilissimo ad arbitri ed organizzatori di tornei. Ma non basta, perché negli informatori trovavi anche una lunga lista di belle combinazioni, di finali, e non di rado c’erano anche raccolte biografiche di partite dei più importanti giocatori, es. Ivanchuck, Portisch, Anand, ecc. Insomma, credo che gli informatori jugoslavi siano stati l’opera scacchistica editoriale più importante degli anni tra i ’60 ed il 2000. Poi, dipendeva da noi saperli valorizzare, studiandoli in modo da trarne vantaggio, migliorando il nostro gioco. Certamente l’enciclopedia delle aperture era molto più “arida” – e su questo ti posso dare ragione – perché era un elenco di varianti d’apertura e sottovarianti. Però serviva a capire bene le ramificazioni più aggiornate di una determinata apertura, di quelle che un giocatore normalmente giocava. Io comunque credo che sia gli informatori che l’enciclopedia delle aperture abbiano contribuito molto alla crescita del livello di gioco di moltissimi scacchisti in tutto il mondo. E’ chiaro che stiamo parlando dell’epoca “cartacea” pre anni 2000, ma direi che loro sono stati il meglio dell’epoca cartacea.

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