Negli anni, ormai lontani, in cui ho giocato a livello agonistico ero affascinato dalla teoria delle aperture e addebitavo ogni sconfitta alla debolezza della difesa o della variante prescelta. Inoltre, mi infastidiva ripetere le stesse posizioni e così andavo troppo spesso alla ricerca di novità. Nel giro di qualche anno, ho sperimentato un’infinità di difese con il Nero e le principali linee di apertura con il Bianco, con risultati che puntualmente giudicavo poco soddisfacenti.
La difesa Caro-Kann dopo qualche tempo mi sembrò troppo passiva, il Dragone Accelerato della difesa Siciliana troppo difficile da giocare, la difesa Pirc troppo rischiosa, la difesa moderna troppo sperimentale, la siciliana Paulsen troppo “teorica” e potrei continuare ancora a lungo.
A quei tempi (parliamo della seconda metà degli anni ’70) ero davvero stregato dalla teoria e dai libri di apertura. Circolava ben poco materiale utile alla preparazione, i migliori manuali erano in lingua inglese e molto costosi (chi non ricorda la favolosa editrice Batsford?). In libreria si trovava il manuale teorico-pratico delle aperture del Maestro Porreca, qualche monografia della editrice Mursia e poco altro.
In quel periodo, apparve sugli scaffali l’Enciclopedia delle Aperture (una serie di mattoni strapieni di varianti disseminate su lunghe colonne) e da qualche anno circolavano gli Informatori iugoslavi, con un ammasso di partite zeppe di simboli poco comprensibili e nessuna spiegazione pratica.
L’informatica era ancora lontana anni luce e le lezioni con i maestri un miraggio: mancavano sia validi istruttori, sia i fondi necessari nelle nostre povere tasche. Oggi ci sono tanti maestri che impartiscono lezioni in video chat, per non parlare dei corsi online o dei canali tematici su YouTube.
Quando smisi di giocare a tavolino e mi dedicai al gioco per corrispondenza, ebbi la fortuna di leggere un libro molto interessante. Prometteva nientemeno di svelare “I Segreti delle Aperture” ma il nome originale, nell’edizione americana, era: “How to open a chess game”.
Da noi è apparso, se non sbaglio, verso la metà degli anni ‘80; attualmente non mi sembra che sia in commercio e forse si può reperire ancora qualche copia nel mondo dell’usato.
Il libro è composto da una raccolta di articoli di vari autori: Larry Evans, Svetozar Gligoric, Vlastimil Hort, Lajos Portisch, Tigran Petrosian, Bent Larsen, Paul Keres. All’epoca, erano tra i più forti grandi Maestri in circolazione, basti pensare che tra quei nomi illustri c’era un leggendario ex campione del mondo (Tigran Petrosian).
Il volume è dedicato ai giocatori di livello intermedio, non ci sono lunghe sequenze di varianti, né approfondimenti teorici per pochi iniziati. Il libro affronta la fase iniziale del gioco con spirito didattico, e si rivolge all’allievo che non ha raggiunto ancora le vette magistrali del gioco.
Ecco alcune interessanti riflessioni che caratterizzano l’insegnamento di ciascun Maestro.
Larry Evans: “L’apertura -composta più o meno dalle prime 12 mosse- è una lotta per lo spazio, il tempo e la forza”.
Gligoric: “L’arte di trattare la fase iniziale della partita correttamente e senza errori è fondamentalmente l’arte di usare il “tempo” nel modo più efficace”. Hort: “Mi spingo fino ad affermare che scoprire una successione costante e ininterrotta di mosse che siano veramente le migliori, sfiora i limiti delle capacità umane, se addirittura non li travalica”. Oggi gli chiederei: che cosa ne pensa, Maestro, di un motore scacchistico da 3500 punti ELO?
Portisch: “Il vostro unico obiettivo nell’apertura deve essere quello di entrare in un centro di partita giocabile”. Tigran Petrosian: “Anche i più acclamati giocatori hanno subito, nel corso della loro carriera, cocenti sconfitte provocate o dall’ignoranza del seguito migliore o dalla temporanea messa a riposo del loro buon senso”. Bent Larsen: “Non gioco quasi mai una mossa di cui conosco la confutazione”. Ho evidenziato il quasi per sottolineare la sua nota spavalderia dei suoi anni migliori.
Ed infine Paul Keres: “Cercherò di illustrare in che modo una nota variante viene sezionata, sottoposta ad un rigoroso esame dei suoi principi e, nei limiti del possibile, arricchita da nuove idee”.
La sequenza degli articoli ha carattere progressivo. Apre i lavori l’americano Larry Evans, il quale illustra i principi generali, il concetto di spazio e quello di tempo, il valore del centro, la mobilità dei pezzi, equilibri e squilibri di forze.
Gligoric approfondisce i concetti fondamentali dell’apertura e commenta alcune gemme del grande Bobby Fischer, il campione che più di ogni altro in quell’epoca curava in modo maniacale la preparazione teorica.
Il cecoslovacco Hort si sofferma sul concetto di sviluppo dei pezzi secondo i principi del “Mio Sistema” del grande Aron Nimzowitsch ed esamina attentamente i suoi precetti: “cambio seguito da guadagno di tempo”, “liquidazione con risultante sviluppo e liberazione”, “centro mobile di pedoni quale elemento di forza in apertura”, “divieto di caccia ai pedoni in apertura, (tranne quelli centrali)”, “sintonia tra i pezzi e i pedoni”, ecc.
Hort spiega che in quasi tutte le aperture è possibile trovare mosse per nulla inferiori a quelle teoriche (oggi, grazie all’informatica, ne siamo tutti convinti, ma 40 anni fa era un concetto quasi rivoluzionario).
Lajos Portisch insegna i fondamenti delle aperture più famose. L’autore illustra un interessante repertorio per il Bianco e per il Nero e affronta, con chiarezza espositiva, le aperture di gioco chiuso e l’est-indiana in contromossa.
Tigran Petrosian si occupa di alcuni aspetti, per così dire “filosofici”, dell’approccio allo studio della teoria delle aperture, invitandoci a esaminare con spirito critico qualunque seguito appreso da libri o riviste specializzate. Egli ci esorta soprattutto a non concedere fiducia incondizionata alle mosse evidenziate nei manuali con eclatanti punti esclamativi e passa in rassegna, con fine ironia, alcune batoste la lui subite in epoca giovanile proprio per aver ciecamente creduto all’autorità di Maestri del calibro di Lisitsin e Romanovski. Quindi, passa in esame, in modo davvero impietoso, le sconfitte patite da grandi campioni a causa di varianti dubbie oppure di analisi errate.
Naturalmente, oggi, con l’avvento dei computer, il pericolo di incorrere in svarioni o suggerimenti fasulli in apertura è molto minore, ma resta il fatto che è facile perdere la bussola qualche mossa dopo “l’aiutino” del programma scacchistico se la sequenza è stata memorizzata acriticamente.
Bent Larsen ci illustra il suo approccio personale alle aperture: sperimentare di continuo, cogliere di sorpresa gli avversari, lottare per l’iniziativa, rispolverare sistemi di gioco trattandoli in modo “moderno”, trovare le falle nella teoria (ci confida: i voluminosi trattati sono pieni di errori ed anche incompleti).
Infine, Paul Keres ci propone un corso scacchistico sulle aperture di livello superiore. L’autore ci conduce nel suo laboratorio personale e ci mostra la nascita di un nuovo sistema nella partita Spagnola, la variante 11…Cd7 della Spagnola chiusa. Naturalmente, l’approccio teorico si alterna con la sperimentazione pratica nel corso dei vari tornei, fino al raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
Successivamente, Paul Keres esamina a fondo una variante che può scegliere il Nero nella partita Spagnola, denominata “Siesta” (5 c3-f5), in cui prevale l’aspetto tattico. Una variante di moda molti anni fa e molto pericolosa per il B. se non ha studiato i suoi sviluppi con la dovuta attenzione.
L’articolo si conclude esaminando il metodo di preparazione di un G.M. quando affronta un avversario specifico. L’importante, afferma Keres, è portarlo in posizioni che sono meno congeniali al suo stile e nelle quali non si senta a proprio agio.
Mi viene da aggiungere, a questo punto, un personale consiglio che può apparire finanche ovvio: chiunque dovrebbe cercare di giocare aperture o difese che non contrastino con il proprio stile di gioco. Giocare, ad esempio, sistemi in cui occorre impegnarsi a difendere a lungo e con pazienza la posizione, non s’addice al giocatore che è alla ricerca dell’iniziativa e ama attaccare fin dalle prime mosse. E viceversa.
Costruire un buon repertorio ponderato di aperture non è affatto semplice, soprattutto se si ha poco tempo a disposizione per la preparazione. E non servirà a molto memorizzare una serie di varianti e mosse alla rinfusa. A tutti è capitato che l’avversario, per ignoranza o per calcolo, abbia scelto una mossa meno giocata o non prevista dalla teoria ed allora ci si è ritrovi, già dopo le prime mosse, a navigare in un mare ignoto. Ecco perché è opportuno, per chi intenda migliorare il proprio gioco, approfondire un numero limitato di aperture cercando di afferrare i principi generali fin dalle prime mosse: spinte tematiche dei pedoni, controllo del centro, manovre liberatorie, posizionamento ottimale dei pezzi, ecc. Essenziale è l’attento esame di numerose partite giocate con quegli schemi dai grandi maestri.
Ed è opportuno sperimentare, di tanto in tanto, anche aperture diverse dalle solite, in modo da affrontare posizioni inusuali.
A mio avviso, scelta un’apertura o difesa che si addica al nostro stile, occorre approfondire il trattamento non solo dell’apertura, ma anche degli schemi tipici del mediogioco (i cosiddetti “pattern” ricorrenti). E se ci si accorge di aver dimenticato una mossa teorica (cosa che, prima o poi, nel corso della partita purtroppo succederà) non bisogna avvilirsi. L’importante è giocare una mossa sensata in grado di porre problemi al nostro avversario. Impareremo, nel corso della successiva analisi, a ragionare sui nostri errori e la prossima volta ci sentiremo meno impreparati.
Per concludere, vorrei riportare una interessante partita che ho giocato per corrispondenza negli anni ‘80 contro il forte maestro Fiorentino Palmiotto. Dopo aver abbandonato il gioco dal vivo, raggiunsi il livello di candidato maestro per corrispondenza, ma poi gli impegni lavorativi e familiari mi indussero, ahimè, a mettere da parte anche le famose “cartoline” scacchistiche che caratterizzavano questa istruttiva modalità di gioco.
Ho riscoperto questa partita sfogliando per caso un numero della rivista “I due Alfieri” cui sono stato abbonato per alcuni anni. La partita fu giocata nel corso del campionato italiano magistrale 1984-1985 e illustra in modo efficace i problemi derivanti da una scarsa conoscenza dell’apertura. Era la prima volta che utilizzavo la difesa ovest-indiana (quando giocavo a tavolino quasi tutti, sulle orme di Bobby Fischer, aprivano con e2-e4) e, all’epoca, avevo poco materiale a disposizione per approfondire la preparazione teorica.
Mi ha fatto piacere ristudiare questa partita a distanza di quarant’anni con l’ausilio di Stockfish e mi ha consolato l’idea che, alla fine, ho perso per aver commesso un solo errore grave, peraltro in una posizione difficile.
Il mio forte avversario, di cui riporterò i commenti apparsi sulla rivista, giocò magnificamente sacrificando materiale per un forte attacco sul re, ma lui conosceva perfettamente questo impianto di gioco e aveva studiato bene i suoi sviluppi.
Ecco come andò la partita:
Grazie Martin e buona Pasqua a tutti!
Fiorentino Palmiotto, scomparso nel 2021, è stato un forte giocatore sia a tavolino che per corrispondenza. Ha vinto numerosi tornei individuali e a squadre. Fu arbitro internazionale e grande divulgatore del gioco. Sui “Due Alfieri” aveva una rubrica periodica sul gioco per corrispondenza, da lui ritenuto molto importante per la formazione dello scacchista. Oggi, con l’avvento dei programmi scacchistici, è una modalità di gioco in disuso e forse quasi del tutto abbandonata. Una partita di Fiorentino Palmiotto compare anche in uno dei magnifici volumi di Kasparov dedicati ai campioni del mondo, i suoi “Grandi Predecessori”. Una sconfitta patita contro il grande David Bronstein tanti anni fa. Ma a quell’epoca Bronstein era considerato uno dei più forti scacchisti in corcolazione, una leggenda vivente e talento assoluto nel gioco creativo e d’attacco.
Paolo, hai aperto il tuo commento augurando «buona Pasqua a tutti!» nella ricorrenza della Pasqua cristiana – i Cristiani Ortodossi la festeggeranno il prossimo 5 Maggio, perché fanno riferimento al calendario giuliano invece che a quello gregoriano.
Mi piacerebbe sapere, tuttavia, se tu intendessi la Pasqua specificamente nel senso cristiano (la Risurrezione di Gesù, il Cristo, benché ciò si situi oltre il livello della comprensibilità puramente umana e richieda un atto di fede religiosa, necessitando anche del supporto di concetti metafisici e teologici) oppure genericamente in senso naturale (il rinnovarsi della natura, esseri umani inclusi). Grazie.
Ciao Giorgio, grazie per la tua domanda che merita una riflessione. Devo dirti che ho una mia personalissima visione religiosa della vita. Sento la Pasqua e le altre feste comandate come un momento di comunione in senso lato con tanti altri esseri umani. Ogni festa religiosa, ovunque nel mondo si celebri, per me dovrebbe rappresentare un inno alla pace e alla fratellanza. Spero di aver risposto in qualche modo alla tua domanda. A presto!
Gesù ha detto: «Se uno mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Se invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» [Vangelo secondo Matteo 10,32-33].
Posso non condividere le tue idee religiose personali, ma non posso non rispettare le tue scelte religiose personali.
Nondimeno, osservo che la specifica identità cristiana non deve essere annacquata in un generico universalismo religioso; evitando, beninteso, il pernicioso integralismo cristiano.
Mi fermo qui (per un blog che continui a chiamarsi SoloScacchi è anche troppo).
Un Saluto (NonSoloScacchistico)
spettacolare come sempre
bravissimo
Secondo me , sara´ che sono un umile NC , e´ giusta l opinione di Larsen :
“Il rifiuto del Gambetto di Re dimostra la vigliaccheria dei Grandi Maestri contemporanei”
afferma nel libro . Vogliamo parlarne ?
Non conoscevo questa opinione di Larsen, mi sembra una battuta da non prendere molto sul serio.
Ho guardato sul database 365 chess e su 16.100 partite gambetto di re ci sono 8.751 di gambetto accettato 2…exf4 e 2.879 di controgambetto 2…d5.
Sul master database su un totale di 715 partite ci sono 509 di gambetto accettato e 118 rifiutato.
Quindi sul gambetto di re Larsen avrebbe dovuto dire che i grandi maestri non hanno il coraggio di giocarlo, non di accettarlo.
Ma le ragioni per cui è giocato poco sono altre.
Comporta un lungo studio della teoria, mentre la tendenza attuale è di uscire dalla teoria al più presto possibile per giocarsi la partita sulla scacchiera e non con la memoria.
Poi non è molto promettente per il bianco.
Giocando 1…e5 ho incontrato più volte il gambetto di re in torneo e soprattutto in semilampo, sempre accettandolo e con risultati molto buoni.
Dopo una partita Fisher – Spasski persa Fisher pubblicò una “confutazione del gambetto di re” con 2…exf4 3.Cf3 d6; io preferivo 3…h6 ritardando d6, ma in sostanza la stessa idea.
Ciao Giancarlo , chiedo scusa : mi sono accorto di aver scritto due volte la stessa frase . Si´, comunque , il senso della frase di Larsen e´che la vigliaccheria dei GM odierni e´ dimostrata dal non giocare il Gambetto di Re ,
non tanto di accettarlo . Dal mio modestissimo livello , le controindicazioni
dell apertura , che comprendo concettualmente , non hanno molta presa .
Aggiungo , semmai , che la spinta f4 crea una debolezza sul lato di Re .
Ma le controindicazioni direi che hanno senso soltanto nella dimensione dell ideale . Mentre ripetevo il mio commento , ho pensato , che sarebbe decisivo
controllare , dato che Larsen difendeva il GdR , controllare quante volte lo ha giocato .
Non ricordo partite di Larsen con il gambetto di Re.
Esiste una famosa partita vinta da Spassky contro Fisher.
Quello che scrive Larsen non è un suo pensiero, ma ciò che stava scritto in un vecchio libro trovato nella casa dove aveva traslocato. Il geniale danese ricorda che per questo motivo aveva preso a giocarlo da bambino, ma che smise di farlo nel 1953, dopo aver sconfitto Penrose al Campionato mondiale juniores
Io invece vorrei ricordare , di Larsen , questa frase che mi e´ rimasta impressa e che vorrei fosse commentata dagli altri : “Non c e´segno piu´evidente della vigliaccheria dei tempi moderni , che vedere il rifiuto di giocare il Gambetto di Re”.
Che ne dite?