Il sussurro del pino

Scritto da:  | 5 Maggio 2010 | 3 Commenti | Categoria: Racconti

Nell’isola di Paros ho trascorso uno dei periodi più lieti della mia vita. Capitai colà per puro caso, o meglio per quello che gli uomini son soliti mascherare con l’epiteto di caso, ma che tanto spesso è solo un modo ingenuo e superficiale per nascondere la legge del cuore ed il meccanismo con cui il genere femminile ne governa il funzionamento. Fatto sta che, per farla breve, mi innamorai di una leggiadra fanciulla greca dal nome melodioso di Irene Lazaridou, occhi scuri e misteriosi come le notti delle Cicladi, sorriso magico e malizioso come la brezza dell’Egeo, amore che durò poco di più delle note di una ballata di bouzouki.
Ma per seguirla lasciai ogni cosa e mi trasferii sulle coste dell’Egeo con meta l’isola nativa di Archiloco, il cuore colmo e trepidante di entusiasmo e di poesia. Ma il palpito elegiaco, come anticipato, fu di durata breve anche se l’emozione che quei luoghi scolpirono nella mia memoria ancora è viva così come l’odore di salsedine che sento pervadermi nel ricordo di quei giorni. E intenso come solo i colori del mar mediterraneo sanno esserlo è il sapore della mia permanenza su quell’isola, le case bianche a ridosso del mare, spruzzate d’acqua marina nei giorni in cui spira il grecale, il rosso dei tramonti senza tempo in cui cielo e terra si compenetrano in una tavolozza di tinte forti e primordiali. L’odore denso degli ulivi, l’immagine delle reti da pesca stese ad asciugare nelle sere d’estate, il suono sordo dei dadi sulle tavole del tavli, a ritmo secco e cadenzato di danza dal fascino viscerale.
Irene sparì una gelida mattina di aprile, rapida e misteriosa com’era apparsa per incanto nella mia vita, e di lei m’è rimasta solo qualche foto e l’eco dei suoi “s’agapó” sussurrati con un sorriso mezzo di scherzo e mezzo di sfida. E prima di decidermi a ripartire verso orizzonti più freddi e colori più sfumati, il mio errare confuso tra i vicoletti dell’isola mi fece trovare, una delle sere che precedettero il mio distacco fisico e definitivo da Paros, dinanzi ad un alto muro di mattoni intonacati a calce che sbucava in fondo ad un viale con una cancellata di ferro lavorato. Si trattava di un ristorante dal nome italiano: “Il sussurro del pino”. Incuriosito e dimentico delle mie pene d’amore mi lasciai tentare ed entrai in quello che più che un ristorante all’aperto aveva tutta l’aria di un giardino incantato e nascosto agli sguardi del viandante casuale. A distanza di tanti anni anni non posso rammentare il menu di quella mia cena ma nell’attesa del conto ricordo bene che estrassi la mia scacchierina tascabile, più per un gesto meccanico o forse per controllare che non mancasse nessun pezzo, che non per il desiderio di esaminare il frammento di partita in essa riportato. Il gesto evidentemente non dovette sfuggire al cameriere che mi portò il computo della somma da saldare, sul cui retro, in un italiano incerto, eran scritte poche parole che qui trascrivo nel senso se non nella lettera:

“Sono anch’io un appassionato di scacchi e possiedo dei libri sull’argomento.
Gioco sempre la Siciliana e tutti i miei libri su questa apertura sono sulla Najdorf, tutti tranne due. Sono tutti sulla Scheveningen eccetto due.
Ho anche dei libri sul Dragone, tutti all’infuori di due.
Firmato Anarghiros, cameriere del Sussurro del Pino”

A Paros da quella sera di fine Aprile non son più tornato, di Irene non ho più saputo nulla, ma l’immagino in un nuovo “s’agapó” mezzo di scherzo e mezzo di sfida, ecco, son trascorsi tanti anni ma forse una curiosità m’è rimasta… quanti fossero i libri sulla Siciliana di quel cameriere greco appassionato di scacchi…

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


3 Commenti a Il sussurro del pino

  1. avatar
    scacco! 6 Maggio 2010 at 14:17

    bravo!

  2. avatar
    Alberto 6 Maggio 2010 at 22:26

    Sempre bravissimo i miei complimenti! Ciao

  3. avatar
    ZENONE (Aleikos) 9 Giugno 2010 at 21:09

    Per Martin Eden.
    Sì, mi è piaciuto molto. Sono ricordi che sanno di buono e di una delicatezza ormai troppo spesso dimenticata. Vorrei ricambiare con qualche riga di un grande poeta: Costantino Kavafis. E’ un’immagine che mi è venuta in mente leggendo il racconto. Mi sembra un degno ricordo della “tua” Irene, che ho immaginato, quale perenne ed immodificabile simulacro di un brevissimo e grande amore, seduta proprio al tavolo accanto al tuo, qualche anno dopo nell’eternità, al “Sussurro del Pino”:

    LA TAVOLA ACCANTO
    Avrà ventidue anni.
    Ma sono certo che, quasi altrettanti
    anni fa, l’ho goduto, io, quello stesso corpo.

    Non è delirio erotico.
    Or ora sono entrato:
    di bere troppo non ho avuto tempo.
    Io l’ho goduto, quello stesso corpo.

    Non mi ricordo – e che vuol dire?

    Oh, adesso sì! Alla tavola accanto s’è seduto:
    ogni gesto ravviso. E, di là dalle vesti,
    nude rivedo le dilette membra.

    E l’enigma dei due libri dell’immensa biblioteca del cameriere?
    No, questo è l’amore per gli scacchi e forse una poesia non potrà mai descriverlo. Come ci ha insegnato Bontempelli ne “La donna del Nadir” gli scacchi sono un concetto troppo grande e anche se il mondo ripiomberà nel caos “il gioco degli scacchi rimarrà, fuori dello spazio e del tempo, partecipe dell’eternità delle idee”.

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