Il ciabattino di Certaldo

Scritto da:  | 20 Maggio 2010 | 12 Commenti | Categoria: Racconti

Più o meno al centro della Valdelsa sorge l’antico borgo di Certaldo, un posto dimenticato dal tempo e che del tempo andato non ha dimenticato l’antico sapore.
Fino a qualche anno addietro, tra quelle vecchie case in pietra vi era quella ove aveva la bottega un anziano ciabattino, Don Liborio come lo chiamavano tutti, il “Don” a ricordo delle sue origini meridionali e tutti ne ignoravano il cognome, era semplicemente Don Liborio il ciabattino. La casa c’è ancora ma la bottega non esiste più, ristrutturata e divenuta l’elegante atelier di un noto antiquario. Don Liborio vi viveva, d’estate e d’inverno. Tirava su la pesante saracinesca di ferro arrugginito con le prime luci dell’alba, nei mesi invernali ancora prima, e fino a serata inoltrata si poteva udire il martellare, sordo e ritmato, su tacchi e tomaie, provenire da quelle quattro anguste mura dall’intonaco umido e crepato. Don Liborio veniva da Mazzarino, nella Sicilia più profonda e selvaggia, la cui parlata risultava insolita perfino alla più parte degli isolani stessi. Fino a diciotto anni non aveva mai messo il naso fuori dal suo paese nativo, e per un curioso caso della sorte era stato mandato su al Nord per il servizio di leva, a Livorno, in Marina, ma non sulle navi, imbarcato, giacchè non sapeva neppure nuotare, bensì marinaio di terra. Ed a terra aveva fatto la conoscenza di un commilitone toscano, di lui più anziano che lo aveva preso a benvolere, un tale Gianfilippo Sbrana che proprio da Certaldo proveniva e che, a fine ferma, lo convinse a soggiornare per qualche tempo nel suo paese, dove peraltro viveva la sorella dello Sbrana, e di cui il giovane Liborio si era pressappoco pian pianoinvaghito.
Lo Sbrana aveva una bottega di ciabattino, mestiere di famiglia che tuttavia non gli era mai andato a genio così quando gli si presentò l’occasione per andar via in cerca di fortuna cedette senza troppi rammarichi a quel giovanotto dai capelli scuri come il catrame, dalla carnagione olivastra e dal timbro di voce baritonale che aveva il giovane Liborio l’attività e la sparuta clientela.
Partita, insieme allo Sbrana, anche la sorella, partito l’amore, Liborio a Certaldo non aveva più motivo di trattenersi ancora a lungo, nondimeno decise di prolungarvi ancora un poco la sua permanenza, attratto forse dalla particolare fisionomia di quelle case di pietra che tanto gli ricordavano il paese d’origine o forse frenato da quella vaga indolenza che ci coglie nella fase di transizione tra la giovinezza e l’età adulta. E trascorse, Don Liborio, tutta la sua esistenza in quel borgo senza tempo ove gli unici confini son quelli dell’anima e della storia, un’esistenza tra collanti, corami, suole vecchie, aghi di ogni tipo, cuoio e quell’odore denso, pregnante inconfondibile dei pellami. In paese era diventato amico di tutti Don Liborio e spesso chi non aveva i soldi per pagare le riparazioni barattava l’aggiustatura con qualche genere alimentare, un fiasco di vino, una frittata di cipolle, o un altro servigio. Viveva di poco l’anziano artigiano ed ormai, dopo Boccaccio e Calindri, era forse il Certaldese più conosciuto, almeno nel circondario, e “contro il logorìo della vita moderna” aveva un suo antico ed efficace rimedio: gli scacchi. Chiusa la bottega e sparecchiato il desco tirava fuori da un cassetto pieno di attrezzi, un logoro volume de “La partita d’oggi” del Salvioli, nell’edizione completata da Giuseppe Stalda, quella del’32, e in un supplemento di sforzo cerebrale, si arrovellava a studiare qualche posizione interessante o a ripercorrere sulla sua altrettanto consunta scacchiera di un legno dall’ormai indecifrabile origine le partite famose dei Maestri. Sul pianale della sua bottega vagavano innumerevoli fogli e appunti di scacchi, scritti con grafia incerta e mai letti, e sugli scaffali che arredavano quei muri modesti tra le scarpe da ritirare e quelle ancora da riparare non era raro scorgere qualche vecchio fascicolo, spesso ridotto a brandelli, di qualche vecchia rivista ormai più dimenticata e mimetizzata nella polvere che ivi riposta per uno studio successivo.
Tra queste scarpe e dorsi di libro immancabilmente v’era sempre qualche calzatura spaiata e senza padrone, rimasugli di riparazioni incompiute e materiale per le sostituzioni d’uopo, il cui passato si perdeva nelle croste e nella ragnatele che ormai adornavano quelle vecchie suole dimenticate tra gli oscuri e umidi anfratti della bottega.
Buttarono tutto via i nipoti il giorno in cui, come per caso era arrivato, Don Liborio così per caso se ne andò, strozzato da una scaglia troppo dura andatagli di traverso di quel cacio con cui soleva abbondare il condimento dei suoi adorati pici. Vennero rintracciati, non si sa bene come, dei nipoti dalla Sicilia i quali vennero su, stettero a Certaldo il tempo necessario per sbrigare le tristi pratiche necessarie, dare in mandato la cessione della bottega per i pochi soldi che riuscirono a ricavare e raccogliere infine le poche cose che Don Liborio aveva lasciato. Buttarono, come detto, via tutto, soltanto a mo’ di ricordo decisero di tenere il meno sgualcito dei volumi del Salvioli, che qualcuno gli aveva raccomandato poter essere di un qualche valore, ed uno stropicciatissimo e bisunto foglio di carta vergato a mano, con quello che doveva sicuramente essere un carboncino,  che spuntava curiosamente dalla punta scucita di una vecchia scarpa e riportante lo schizzo di una posizione di scacchi, con dietro questo strano commento: “Matto in due: Liborio sta diventando matto per trovare l’unica soluzione…”. Eccola, a futuro ricordo del ciabattino di Certaldo.

avatar Scritto da: Martin (Qui gli altri suoi articoli)


12 Commenti a Il ciabattino di Certaldo

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    Giovanna Adabbo 20 Maggio 2010 at 22:31

    Claudio questa notizia è veramente eccezionale; molto bella ed emozionante. Mi ha fatto piacere venirne a conoscenza. Grazie e ciao

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    e4d6 21 Maggio 2010 at 17:31

    sembra proprio difficile dare il matto in due, con il re che può arroccare…..

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      Martin Eden 21 Maggio 2010 at 17:47

      Allora Don Liborio non era poi cosi’ una scarpa a scacchi, giusto?!? 😉

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    ZENONE 23 Maggio 2010 at 01:10

    Ciao,
    è stato un sabato veramente duro. Ci siamo ritrovati per vedere qualche problemuccio. Oltre al sottoscritto (“Zenone”;) c’era il “Commissario Mezzasalma” e “Il marittimo scozzese”. Scacchiera alla mano, birra scura e lupini – che schizzavano tra i pezzi – abbiamo messo la posizione del “Ciabattino”. Il “Commissario Mezzasalma” ha menato le danze e scosso noi altri illusi dopo 1.Tad1, mostrandoci la scioccante 1…0-0 di “e4d6”; ma grazie ai noti paradossi di ZENONE di Elea siamo riusciti a risolvere l’arcano! (Speriamo). La mail è spedita, la speranza è forte, il morale è alto (anche grazie alle birre, hic (!) scusate…;) e attendiamo fiduciosi la conferma della soluzione del paradosso (ancora una volta la tartaruga corre più forte di Achille).

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      Martin Eden 24 Maggio 2010 at 19:39

      Complimenti! I nipoti di Don Liborio ci fan sapere, direttamente da Mazzarino, che la soluzione e la brillante analisi da voi speditaci e’ quella giusta! 😉

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    Galya 10 Dicembre 2011 at 21:22

    Ma, non si può sapere la soluzione del problema di ciabbatino?) Grazie.

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    Galya 10 Dicembre 2011 at 21:28

    volevo dire : ciabattino)

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    Mongo 10 Dicembre 2011 at 23:42

    Dove è finito l’Af8?? 😉

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    Joe Dawson 11 Dicembre 2011 at 22:09

    Solo per segnalare a chi fosse eventualmente interessato che siamo
    letti anche dagli amici russi e questo pezzo dell’amico Martin
    è stato tradotto anche in cirillico…

    http://italia-nostra.livejournal.com/11748.html

    [Ben 34 finora i commenti dei lettori russi…]

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      Galya 12 Dicembre 2011 at 14:12

      Confermo!) E suscitato anche moltissimo interesse. Ma sopratutto gli appassionati di scacchi russi vogliano sapere la soluzione del problema del Ciabattino.

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    Lord Ste 12 Dicembre 2011 at 14:17

    Problema abbastanza semplice. Dato che la soluzione (unica? uhmm 🙂 1.Tad1 è “confutata” da 1…0-0 bisogna semplicemente DIMOSTRARE CHE IL NERO NON PUO’ ARROCCARE.
    Per fare questo… bisogna chiedersi qualcosa. Dove è finito l’Af8? beh, facile: catturato (da un C bianco, ad esempio) nella sua casa di partenza.
    Ma la domanda critica è un’altra: DA DOVE VIENE LA Td4? 🙂
    (a più tardi x il resto della soluzione)

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    Lord Ste 12 Dicembre 2011 at 17:41

    Nessuno che ci vuole provare? :mrgreen:
    Vediamo: possiamo ipotizzare che la Td4 fosse originariamente la Th1. in questo caso è facile vedere che il B NON può arroccare (per fare uscire la T il R si è mosso).
    Ma se la Th1 è stata catturata SENZA uscire dal “bunker”, allora LA Td4 E’ UN PEDONE promosso e IL BIANCO PUO’ ARROCCARE.
    Ma, DOVE può essere stato promosso il pedone, e COME è riuscita la nuova torre a tornare in d4? Sermplicemente, FACENDO SPOSTARE IL RE NERO.
    Quindi possiamo stabilire che: SE IL BIANCO PUO’ ARROCCARE, allora la Td4 è un pedone promosso e quindi IL NERO NON PUO’ ARROCCARE.
    E… come facciamo a stabilire che è il bianco che può arroccare? semplice: ARROCCANDO!!!
    Quindi: 1.0-0-0!! In questo modo, “stabiliamo” automaticamente che il nero NON può arroccare (perchè l’ha fatto il bianco) e quindi, matto alla prossima con 2.Td8#
    Facile, no? :mrgreen:

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