Tutto semplice! La nuova scienza scacchistica

Scritto da:  | 17 Marzo 2011 | 7 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni, Zibaldone

[Temi: costruzione “scientifica” di una teoria degli scacchi]


“Scacco matto!” Disse il vecchio Evaristo con la mano tremante.

“Al diavolo… ma, alla fine, stavo meglio io…” Rispose acido l’altro signore anziano, Ernesto.

Evaristo e Ernesto erano amici da lunga data e amavano disquisire sulle varie posizioni. Se uno dei due vinceva, l’altro aveva da ridire sul motivo della vittoria. Da circa cinquant’anni andava avanti così. Quel giorno invece…

“Finiamola una volta per sempre. Cerchiamo una conclusione sul come valutare una posizione. In modo oggettivo e inequivocabile. Definitivo.” Disse Evaristo secco.

“Bene. Proponi!” Disse in tono di sfida Ernesto.

“Ci serve un parametro universale per giudicare una posizione. Qualcosa di semplice e sempre presente per stabilire con certezza chi sta meglio o peggio.”

“Quale sarebbe questo parametro? Gli scacchi si giudicano da posizione a posizione. Essi amano la relatività.” Sentenziò Ernesto. “Inoltre, c’è la relatività del giocatore che concepisce valutazioni diverse da un altro.”

“Questo relativismo mi pare troppo estremo. Se così fosse, non potremmo dire che esistono delle situazioni vinte matematicamente. Queste posizioni esistono. Cerchiamone le caratteristiche ed estendiamone il parametro a tutte le altre.”

“Proviamo, proviamo.”

“In una situazione forzata noi operiamo dei calcoli. Questi non sono soggettivi, nel senso che o sono giusti o sono sbagliati. Ciò si può verificare. Delle due l’una. Quindi il calcolo è oggettivo. Mi pare un buon punto di partenza.”

“E’ vero, ma l’operazione è sempre relativa alla posizione.”

“Però i calcoli sono sempre gli stessi, a prescindere dalla posizione particolare: conto dei pezzi, spostamento di questi nell’immaginazione, somme di pezzi che controllano gli stessi punti… Ciò si fa sempre, non è relativo perché i principi fondamentali che si applicano sono gli stessi e validi per tutti.”

“Siamo sempre allo stesso punto. E’ la situazione specifica a determinare il calcolo. Dunque, il calcolo è relativo.”

“Va bene… Abbiamo capito. Siamo d’accordo almeno sul fatto che i calcoli, indipendentemente dalla posizione, sono determinati dalle medesime regole?”

“Si.”

“Allora dobbiamo trovare un’unità semplice che ci consenta di valutare la posizione in modo oggettivo. Dobbiamo, cioè, trovare un punto concreto, oltre alle regole astratte. Così aggiriamo il problema della soggettività che tu stesso hai posto.”

“Sono proprio curioso. Stiamo a vedere! Eh, eh eh!” Ridacchio Ernesto, scettico.

“Ecco, dobbiamo cercare qualcosa di semplicissimo, talmente semplice che non si può ulteriormente dividere, scomporre. Questo dato deve consentirci di dare una valutazione esaustiva della posizione.”

“Ah! La complessità degli scacchi è proverbiale e evidente. Non lo sai che è una delle poche attività che attiva simultaneamente tutte le aree del cervello? E tu vorresti trovarci qualcosa di semplice? Sei il solito vecchio scemo!”

“Su, aiutami. Cosa c’è di più semplice negli scacchi, secondo te?”

“Mah, il pedone. Il pezzo più elementare. Oppure penso ai finali di re e donna.”

“Però l’uno non può spiegare l’altro. Il fatto è che tu stai pensando a qualcosa di concretamente semplice, che risolvi in fretta o sai usare. Ma il semplice come lo intendo io, non è questo. Ciò che prima impari non è, per forza, il punto più semplice.”

“Bene, vecchio pazzo. Più semplice del pedone e dei finali di re e donna non trovo nulla. Ti sfido io a trovare la pietra filosofale.”

“Allora, ci ho pensato a lungo. Secondo me la cosa più semplice è la casella. Il singolo semplice stupido quadratino. In fin dei conti, possiamo descrivere tutto con le caselle e somme algebriche di caselle. Se ci pensi bene, un pezzo non è altro che una serie di case controllate. Potremmo giocare a scacchi senza pezzi tenendo presente, però, le case che essi controllano e non. Non possiamo giocare a scacchi senza case, né si possono distruggere né mangiare. La mia idea: per valutare una posizione non dobbiamo far altro che contare le case che controllano il bianco e il nero. Chi ne controlla di più sta meglio e chi meno, peggio. Tenendo presente che le case vicino al re, sono più importanti delle altre.” Concluse Evaristo seriamente.

“Possiamo provare. La tua teoria è affascinante!” Disse colpito Ernesto.

“Potenza del ragionamento scientifico!”

[ Per qualsiasi chiarimento, approfondimento o suggerimento, prego i gentili lettori di contattarmi. Possono vedere utilmente il mio sito www.scuolafilosofica.com]

avatar Scritto da: Giangiuseppe Pili (Qui gli altri suoi articoli)


7 Commenti a Tutto semplice! La nuova scienza scacchistica

  1. avatar
    biker 17 Marzo 2011 at 09:17

    Non è che questo racconto è stato influenzato dalla lettura di Opfermann? 🙂
    Cmq nella discussione di due “vecchi pazzi appassionati” una simile conclusione (“per valutare una posizione non dobbiamo far altro che contare le case che controllano il bianco e il nero. Chi ne controlla di più sta meglio e chi meno, peggio”;) ci può anche stare; Opfermann invece pretendeva di fondare una nuova scienza scacchistica…
    Sempre stimolanti i tuoi pezzi Giangiuseppe.

    • avatar
      Michele Panizzi 17 Marzo 2011 at 12:51

      Sii onesto, riducendo la discussione
      agli aspetti fondamentali qual è la differenza
      tra Opfermann e chi insegna a guardare le
      case forti o deboli? La differenza è proprio
      difficile da trovare IMHO, Opfermann è stato
      disprezzato e incompreso perché tedesco.

      Sono interessato a vedere un confronto tra
      Opfermann e la teoria delle case forti in Ponzetto.

  2. avatar
    Giangiuseppe Pili 18 Marzo 2011 at 13:24

    Allora,

    Ringrazio per i commenti!
    Questo è il primo di tre articoli che tentano di illustrare le procedure della scienza. Questo era un primo passo preliminare.
    Detto questo, confesso di non aver letto Opfermann né so chi sia… magari, mi potrete dare una mano voi, ne sarei gratissimo!
    Ho leggiucchiato un libro di Ponzetto (eccellente, tra l’altro), ma sono arrivato alle conclusioni dell’articolo autonomamente!
    Spero che i prossimi articoli siano anche più illuminanti, ma per comprenderli, bisogna aver prima di tutto letto questo!

    Grazie ancora per i suggerimenti, sperando di poterne sapere di più!

  3. avatar
    Luca Monti 18 Marzo 2011 at 21:07

    Signor Pili,tenendo gli scacchi come ingrediente principale,Lei riesce sempre a creare “ricette” diverse e pur sempre interessantissime.
    Complimenti sinceri.

  4. avatar
    Michele Panizzi 19 Marzo 2011 at 11:12

    Adesso ho letto l articolo.
    Lasciamo da parte Opfermann

    “Quale sarebbe questo parametro? Gli scacchi si giudicano da posizione a posizione. Essi amano la relatività.” Sentenziò Ernesto. “Inoltre, c’è la relatività del giocatore che concepisce valutazioni diverse da un altro.”

    Questo e’ vero , chiunque dopo aver fatto un di pratica
    di gioco arriva a vederlo .

    Se così fosse, non potremmo dire che esistono delle situazioni vinte matematicamente. Queste posizioni esistono

    Si , ma vale per i finali che sono , alcuni finali
    che si studiano con le tablebase .
    Invece , l apertura e sopratutto il mediogioco
    sono una materia che nessuno potra’ mai ridurre
    a regole .

    “Allora, ci ho pensato a lungo. Secondo me la cosa più semplice è la casella. Chi ne controlla di più sta meglio e chi meno, peggio.

    Oltre alla quantita si deve considerare la qualita’.
    Bisogna valutare anche quali sono le case controllate
    dai due colori , che uso si puo’ fare delle case controllate. C e’ chi vince avendo meno case sotto controllo
    e meno pezzi : ma sono i pezzi giusti!

    E’ una conquista come ragionamento sostenere che la casella
    e’ l unita minima . E’ vero .
    I pezzi si posso provare della loro dimensione fisica
    e ridurre a funzioni , oggetti astratti che svolgono
    una funzione di controllo sulle case . P e una Torre
    diventa una cosa che non ha niente in comune con la Torre di un castello medioevale , ma si muove in orizzontale e verticale. Allora , un pezzo in base
    a come puo’ muoversi , controlla una certa casa.
    Ma parlare di case invece che di pezzi mi provoca
    un sentimento di rifiuto .
    Ricordo di aver rifiutato con disgusto la frase detta
    da Ray Azzopardi , l istruttore del Malta Chess Federation, che faceva un corso per principianti .
    Lui disse che a scacchi si deve guardare alle case
    e non ai pezzi .Lo rifiutai perche’ cosi’ mi sembrava
    di togliere importanza ai pezzi e che tutto si riduce a una griglia banale .

  5. avatar
    Giangiuseppe Pili 20 Marzo 2011 at 12:03

    Ringrazio il s. Luca Monti per le belle parole e il S. Panizzi per l’interessante e acuto commento.

    1) Anche nel mediogioco esistono posizioni risolte, le combinazioni sono di questo genere, così pure le vittorie ottenute mediante “combinazioni senza sacrificio”. Inoltre, aggiungerei anche che posizioni “risolte” siano quelle nelle quali si vince materiale sufficiente per vincere con la PROPRIA capacità tecnica. Nelle aperture esistono posizioni risolte in negativo: sappiano che certe varianti conducono necessariamente alla perdita di materiale. Queste varianti sono pure seminecessarie e sono “risolte mediante il calcolo”. Bene inteso, io non sono un sostenitore del motto “gli scacchi sono al novanta per cento tattica”. Il punto è che volevo mostrare il processo di formazione di una “scienza”.
    a) Si analizza una parte della materia,
    b) Si estendono i risultati per generalizzazione (induzione),
    c) Quindi si vede se esistono eccezioni e, se si,
    d) Si revisiona la teoria.
    2) Come sarà più chiaro, anche attraverso gli articoli che usciranno a breve, il processo di formazione di una teoria è molto complesso e molto difficile ma deve partire da alcuni elementi considerati come semplici, ecco perché la “scoperta delle caselle”.
    3) Il rifiuto dell’idea che i pezzi siano somme di case è sensato e problematico allo stesso tempo: io non credo che sia mai possibile per un uomo pensare in termini di sole case: abbiamo bisogno di sostegni “visivi” e “concettuali” che ci aiutino nella comprensione della posizione. Dunque, da un punto di vista “mentale” (cognitivo), è pobabilmente necessario pensare alle posizioni in termini di pezzi e non di case. Questo è il punto corretto, c’è un problema: in una teoria si arriva, spesso, a concepire la materia in modo controintuitivo ma fruttuoso e coerente. Il mio problema, nell’articolo, non era indagare la natura della conoscenza ma delle “entità”, dei “fatti” scacchistici e, per farlo, dovevo giungere ad un livello elementare, non ulteriormente scomponibile.
    In conclusione, il “rifiuto” non va bene, se ci si pone ad un livello di analisi non di tipo cognitivo ma di tipo fattuale: tutto negli scacchi è definito nei termini di proprietà di case e, sotto questo livello, non esiste più nulla. DI conseguenza, questo è il livello da cui partire per un’analisi di tipo teorico-scientifico nel senso puro del termine (cioè svincolato da ogni ricaduta pratica, in tempi immediati).

    Non so se sono stato sufficientemente chiaro, ma spero di aver chiarito alcuni punti!

    • avatar
      Michele Panizzi 23 Marzo 2011 at 15:16

      Chiammi Michele e basta!

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