La partita

Scritto da:  | 22 Agosto 2012 | 8 Commenti | Categoria: Scacchi e cinema, Scacchi e letteratura

L’analisi di un gioco cinematografico che affonda il suo significato negli scacchi

La partita (2009) costituisce il mio primo approccio alla regia cinematografica, dopo il quale ho lavorato alla realizzazione di altri tre lavori di fiction (La fiamma della discordia 2009-2010, L’incredibile tesoro dell’isola dei ratti 2010, e Nel cuore di una tenebra immensa 2012) e due documentari (L’infinito 2011, e Kuìle ancora in fase di sviluppo). Sebbene La partita non sia il mio primo lavoro come montatore (avevo già lavorato ad uno ‘scherzo’ cinematografico, il Piercarlo’s Story) esso costituisce il primo tentativo compiuto di gioco cinematografico a tutti i livelli: scrittura della sceneggiatura, regia, montaggio, recitazione, scrittore delle didascalie, organizzatore generale.

Sono sempre stato un appassionato del cinema, specialmente di quello che definirei ‘classico’, risalente agli anni d’oro del periodo hollywoodiano (1930-1940), come il primo Orson Welles (Quarto potere, L’orgoglio degli Amberson, La signora di Shangai) e Howard Hawks (Il grande sonno, Scarface). Questa mia consapevolezza di adesione ad un cinema che è parzialmente scomparso è stato l’approdo dopo anni di fruizione di film che, sebbene non appartengono al ‘cinema classico’ in senso stretto, sono ad essi almeno parzialmente riconducibili: i primi film di Kubrick, il mio cineasta di riferimento, Sergio Leone, Hitchcock, Wilder, Lang. In realtà, sarebbe più corretto asserire che le mie ispirazioni muovono da uno stile cinematografico per certi aspetti sobrio, semplice ma preciso e puntuale. Di questa precisione e puntualità, in un corto come La partita c’è ancora abbastanza poco, sia per limiti puramente tecnici (scadente cinepresa e scadente programma di montaggio) sia per limiti di esperienza: si trattava di un tentativo puramente giocoso, senza alcun fine se non quello di giocare a fare il regista. A livello di cinema muto, non a caso, ho superato il tentativo ingenuo de La partita nel successivo e ben più articolato La fiamma della discordia (nel quale, già dal titolo, c’è un richiamo esplicito a La fiamma del peccato di Billy Wilder).

Nato e cresciuto con un padre che mi costringeva a vedere solo film e non i consueti programmi televisivi per bambini, avverso, com’era, alla clemenza alla stupidità; la mia strada verso il cinema si è mossa assieme alla mia stessa crescita umana e intellettuale, sino alla realizzazione degli ultimi due lungometraggi sonori, nei quali la mia esperienza, ormai maturata, ha potuto dare, nei limiti di una produzione a bassissimo costo, dei risultati (L’incredibile tesoro dell’isola dei ratti, nel quale la filosofia si unisce allo spirito cinematografico, e Nel cuore di una tenebra immensa nel quale, già dal titolo, si richiama spiritualmente a Conrad e Coppola).1

Ripensare agli inizi è sempre piuttosto difficile, perché si tende a concentrarsi sugli errori e sulle inefficienze di quello spirito fantasioso e razionale che stenta a vedersi, per riconoscere solo le buone intenzioni e tentativi abortiti. Per tanto, non è facile tracciare un bilancio di quel corto ma, nonostante questo, cercherò di parlarvene, per così dire, a cuore aperto.

Come tante attività importanti della mia vita, La partita prende avvio proprio dagli scacchi. Già nel titolo è chiaramente rimandata la dimensione propriamente scacchistica che entra all’interno del film come plurimo elemento: espediente comico, espediente drammatico, elemento esteticamente positivo e contraltare della realtà. L’espediente comico è offerto dalla presunta mediocrità dei due giocatori al tavolo che, a parte il gioco, possono essere visti come due vecchi amici che si sfidano per l’ennesima volta al tavolo da gioco, fatto, anche questo, di una certa carica comica, per noi scacchisti. Lungi dal rappresentare un elemento di noia, gli scacchi sembrano mostrare come la logica della lotta e della sfida si reitera costantemente per produrre sempre nuove motivazioni di gioco e di conflitto: il fatto stesso di avere una scacchiera apparecchiata sembra già un buon motivo per sfidarsi. L’espediente drammatico, per così dire, in un film dal gusto retrò che ha le sue radici nei film di Buster Keaton e Charlie Chaplin fino ad arrivare ai fratelli Lumiere (l’Atto 1 è un rifacimento quasi identico e moderno del primo film a sceneggiatura della storia), fondato, cioè, dalle basi della storia del cinema comico; l’espediente drammatico, dunque, è offerto proprio dalla sconfitta del ‘solito perdente’, il quale, stanco di prendere legnate al tavolo da gioco, decide di avere la sua rivincita: è l’inizio di una lunga sfida in tre atti, nella quale uno dei due è sempre destinato a perdere. Gli scacchi, poi, hanno sempre un carico estetico potente, perché simbolico e perché richiama l’intelligenza e il suo fascino, così che la sola presenza di una scacchiera e di due giocatori al tavolo da gioco costituisce un fatto intrigante, nonostante la maggioranza dei fruitori sia in grado solo di cogliere gli elementi estrinseci della situazione. In fine, gli scacchi rappresentano il contraltare della realtà. La partita è un corto strutturato in tre atti, con un prologo. I tre atti sono tre come le fasi della partita a scacchi e sono tre come gli atti di una tragedia. La tragedia è, naturalmente, ribaltata all’interno dell’elemento puramente comico se non proprio demenziale e divertente, ma presente per indurre lo spettatore a comprendere il dramma di un uomo bravissimo a giocare a scacchi ma sempre giocato dalla vita. Ed è in questo che emerge la proiezione di una realtà diffusa. Come gli scacchi sono meritocratici (in un senso ampio) così, spesso, la vita non lo è ma si fonda su giochi di espedienti e colpi di fortuna (com’è espressamente mostrato dal secondo atto, nel quale Mcullock scopre i ‘piani’ di Baxter per puro caso e glieli scombina; o lasciato intendere dal terzo atto nel quale, nonostante tutte le aspettative, Mcullock riesce a trovare un modo per ribaltare la situazione). In questo senso, così come Baxter è calcolatore e razionale nei suoi espedienti, così Mcullock è semplicemente furbo, capace di sfruttare la fortuna che la vita gli offre, vale a dire quelle devianze dalle aspettative che uno scacchista come Baxter si aspetta di dominare come il gioco mediocre e prevedibile di Mcullock sulle sessantaquattro caselle. Ma la vita, e non gli scacchi, sfuggono ad ogni possibile riduzione meccanica e previsione esatta di Baxter il quale, forse, si era rifugiato nel nobil gioco proprio perché la vita non è altrettanto meritocratica, giusta e prevedibile. In due parole, gli scacchi sono nobili, la vita no.

Tuttavia, nonostante tutto, c’è almeno un elemento che colpisce nella somiglianza tra scacchi come mondo alternativo alla vita e la vita stessa: che, se si vuole, dopo la sfida, c’è il riconoscimento dell’amicizia. Baxter, dopotutto, perde la partita nella realtà, ma si comporta come nella vittoria della partita a scacchi: il riconoscimento del valore dell’avversario attraverso un applauso e una vigorosa stretta di mano, valutando l’amicizia e l’abilità come qualità superiori ad ogni possibile sconfitta. E il gioco di rimandi si chiude e con esso il film.

A questo punto, segnalo che nel mio sito compaiono quasi tutti i lavori (esclusi i lungometraggi) che ho compiuto in questo campo. Per tanto, rimando a www.scuolafilosofica.com.

1 Nel cuore di una tenebra immensa sono le ultime parole di Cuore di tenebra. Verso Conrad, mio scrittore preferito, nutro un’ammirazione senza eguali nella letteratura e l’omaggio cinematografico al suo celebre racconto lungo non si limita puramente al titolo, ma scava più addentro, a livello simbolico, proprio sulle tracce del libro, trasfigurato appositamente. Coppola, come si sa, riprese in modo altrettanto esplicito (nonostante non lo segnali) Cuore di tenebra nel suo capolavoro assoluto Apocalypse now, uno dei miei cinque film preferiti.

avatar Scritto da: Giangiuseppe Pili (Qui gli altri suoi articoli)


8 Commenti a La partita

  1. avatar
    Luca Monti 22 Agosto 2012 at 11:22

    É una fortuna per il sito,potersi avvalere degli interventi del
    Pili.Al pari del Pollini,i suoi contibuti ancorchè rari,sono da
    parte mia attesi con trepidazione.Sebbene non la conosca di
    persona,idealmente l’abbraccio forte.

    • avatar
      Giangiuseppe Pili 22 Agosto 2012 at 15:38

      Ti ringrazio, carissimo, per le belle parole! Sono sempre lieto di scrivere per SoloScacchi che reputo, come ben sapete, tra i migliori e più degni siti dedicati agli scacchi!

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        alfredo 23 Agosto 2012 at 14:16

        concordo totalmente

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    Fabio Lotti 22 Agosto 2012 at 11:34

    Una bella sorpresa! Non sapevo di questa tua passione. “La partita” mi è piaciuta molto, anche come sottofondo musicale. Solo che, qualche volta, le espressioni dei giocatori avrebbero dovuto adeguarsi alle scritte (non so come si chiamano in gergo”;). Sulle altre cose viste taccio per rispetto… 🙂

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      Giangiuseppe Pili 22 Agosto 2012 at 15:40

      Grazie, caro Fabio!

      Si tratta, come detto nell’articolo, di un lavoro con diversi errori, più o meno importanti. Ma, alla fine, può sempre risultare divertente!! Sì, il cinema fa parte della mia vita, se così si può dire, da lungo tempo! Non so se mi affrancherò mai dal dilettantismo, ma, nel frattempo, mi cimento a tutti gli effetti!

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    Mongo 22 Agosto 2012 at 14:15

    Conoscevo già ‘La partita’. Gran bella cosa, considerando che era la tua prima esperienza da one-man-cinema e so bene cosa vuole dire perché feci la tua stessa ‘impresa’ in campo teatrale (scrittura, sceneggiatura, regia, interpretazione de ‘Il profumo dei gelsomini’;); mi manca solo la fase di montaggio delle immagini, forse la più interessante e ‘difficile’ per un regista.
    Complimenti. 😎

    • avatar
      Giangiuseppe Pili 22 Agosto 2012 at 15:44

      Interessante! Si scoprono sempre nuove cose! Be’, per come la vedo io, il cinema è 30% regia, 30% montaggio, 30% recitazione e il 10% il resto! La cosa più difficile è, probabilmente, l’organizzazione generale, reperire gli attori, metterli d’accordo, rispettare i tempi, etc.! Per la parte propriamente filmica, forse la cosa più difficile è, sì, il montaggio. Ma se hai una sceneggiatura molto precisa e una pianificazione puntuale, il montaggio è come il teorema che segue necessariamente dalle premesse. Ciò detto, il cinema è arte e, dunque, c’è sempre da “inventare” e “arrangiare” sul momento, tanto più quando non ci sono 1000000 di euro a disposizione nel borsello!! Eh eh eh! Ma parlami della tua esperienza teatrale di cui sono molto molto curioso!

  4. avatar
    Fabio Lotti 22 Agosto 2012 at 16:03

    Continuare sempre, andare avanti con le proprie passioni!
    Questo è il commento che mi viene spontaneo.

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