Sun Tzu, uno studio su L’arte della guerra: Epistemologia

Scritto da:  | 23 Maggio 2014 | 16 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni

La teoria della conoscenza: organizzare e contare e il metodo dello straordinario e dell’ortodosso

Sun Tzu 1

Più che fornire una teoria esaustiva sulla natura della conoscenza, Sun Tzu ci indica cosa dobbiamo conoscere e a quale scopo sia imprescindibile farlo. Tuttavia, proprio dalle sue stringate istruzioni possiamo trarre conclusioni importanti in merito alla sua epistemologia.

Innanzi tutto, egli è esplicito: per vincere e, per questo scopo solo, è necessario conoscere i cinque elementi alla base della realtà. Questa è la conoscenza astratta. Nel concreto, poi, bisogna comprendere le reali configurazioni geofisiche, gli elementi umani coinvolti e le relazioni sussistenti tra le nazioni. Oltre a ciò, è necessario conoscere gli elementi intrinseci all’arte della guerra (modalità di equipaggiamento, addestramento, elementi che influiscono sul morale delle truppe, le conseguenze sociali del perdurare della lotta…;) in modo da poter organizzare il proprio esercito e poter sfruttare al meglio le singole unità. Per fare questo, è necessario contare e organizzare. Il metodo di Sun Tzu è molto simile, per certi versi, a quello di Cartesio, proposto da quest’ultimo nel celebre Discorso sul metodo: scomposizione in fattori primi, enumerazione delle parti, ricomposizione e esecuzione del compito. Sun Tzu, senza scendere nei dettagli, delinea un sistema di calcolo sulla base del quale ci si può rifare per organizzare le proprie forze.

L’organizzazione dell’esercito segue delle linee “ortodosse”, intendendo, con ciò, dei sistemi affidabili e reiterabili sulla base dei quali gestire le proprie risorse. In questo senso, le condizioni contingenti influenzano relativamente il nostro sistema, sicché è necessario studiare delle linee guida facilmente estendibili per gestire al meglio le nostre sole forze. D’altra parte, non è possibile ridurre l’intero spettro del possibile a quel che noi pensiamo essere il necessario, così è imprescindibile sapersi adattare al nemico per sfruttare tutte le risorse presenti nel momento contingente. Essendo la configurazione attuale imprevedibile, non si può fare a meno di usare metodi “straordinari” per agire nel modo migliore. Lo “straordinario” consiste nel fatto di non essere pianificabile a priori, cioè nell’essere fuori dall’ordinario, fuori da regole costituite a priori.

In fine, sul piano pratico, bisogna prendere decisioni, le quali sono la materia del generale. Prendere buone o cattive decisioni è ciò che distingue un grande generale da uno mediocre. E’ possibile rintracciare in Sun Tzu una teoria della giustificazione militare, una teoria che sancisca a quali condizioni generali una decisione militare possa dirsi ben fondata. Ma questo lo tratteremo più sotto, giacché non interessa propriamente l’epistemologia, ma la prevede, sicché sarà necessaria questa trattazione preliminare, prima di considerare la teoria della giustificazione militare di Sun Tzu.

Sun Tzu 2

Ritornando al punto al fine della conoscenza pratica, Sun Tzu enuncia alcune condizioni necessarie per pervenire a conoscenza dei fatti rilevanti nella guerra. Prima di tutto, è necessario conoscere i principi generali della realtà, in secondo luogo bisogna conoscere le proprie forze e quelle del nemico, quindi scoprire l’assetto globale della contingenza, quindi bisogna computare tutte le possibilità alternative insite in una situazione, ordinarle per preferenza, in base a parametri di utilità, quindi scartare tutte le possibilità negative e concentrarsi su quelle utili.

Il metodo è molto più preciso di quanto non possa apparire. Esso ci dice, in linea generale: scegli sempre la mossa che massimizza la tua utilità e scarta tutte le altre. La buona definizione di tali condizioni è resa possibile dalla quantificazione dello scopo: l’utilità è quantificabile sulla base del fatto che devi riuscire a conquistare intero e intatto il nemico, ogni distruzione parziale o totale rappresenterà un risultato peggiore. Ad esempio, abbiamo tre alternative: una consente di distruggere il nemico, una consente di uccidere i soli ufficiali e salvare le truppe e una terza consente di mettere in ginocchio il nemico privandolo dei suoi mezzi di sussistenza. Le prime due alternative sono peggiori dell’ultima, così bisogna attrezzarsi per realizzare la terza possibilità, se le condizioni contingenti non ci impongono di scegliere altre strade. D’altra parte, la grandezza di Alessandro Magno consisteva proprio nel riuscire a colpire il centro vitale dell’esercito nemico lasciando intatto gran parte del resto dell’esercito, così egli era in grado di arruolarlo all’interno delle sue fila per aumentare la sua forza. Questo costituisce un risultato migliore quanto accadde nella seconda guerra mondiale, dove venivano falcidiate decine di migliaia di persone senza alcun compenso. Questo sarebbe stato giudicato folle da Sun Tzu, e non per ragioni morali, ma proprio perché in completa violazione con quanto si dovrebbe considerare il proprio obiettivo nelle operazioni militari.

In generale, possiamo trarre alcune conclusioni in sede propriamente epistemologica su quanto sostenuto da Sun Tzu. Per prima cosa, l’obbiettivo della guerra è vincere il nemico, meglio se intero e intatto. Per riuscirci è necessario passare attraverso la conoscenza. La conoscenza è, al meno, credenza vera giustificata, considerando la definizione offerta dalla letteratura di filosofia analitica che ci sembra più che adeguata; laddove condizioni filosofiche stringenti possono richiedere ulteriori condizioni di definizione. L’attività del conoscere è indispensabile per il generale, come è detto da Sun Tzu esplicitamente: conosci te stesso e il nemico ogni vittoria sarà totale, se non conosci né te stesso né il nemico ogni battaglia sarà per te una sconfitta. Per conoscere se stessi e il nemico è necessario disporre di credenze vere, cioè delle idee su dati di fatto tali che tra essi sussista una certa corrispondenza (su questo punto Clausewitz sarà ancora più esplicito). Se la guerra è un evento che si muove su elementi continuamente cangianti e contingenti, è necessario minimizzare il rischio. Per minimizzare gli elementi di rischio è necessario operare i propri calcoli su elementi la cui conoscenza aumenta la probabilità che si verifichi una certa nostra aspettativa: se so che il nemico muoverà domani, potrò anticiparlo e costringerlo a prendere un terreno inferiore (un terreno di morte, ad esempio, nei termini di Sun Tzu) e questa mia credenza è fondata (è giustificata) sul fatto che una mia spia mi ha informato sui movimenti del nemico, tale informazione è stata confermata dalle mie vedette e ho idea di quelle che sono le intenzioni del generale avversario, inoltre molti segnali (informazioni) reperibili sul campo mi lasciano pensare che questa condizione si realizzerà. Ragionando su credenze giustificate aumento la probabilità di effettuare buone previsioni. Per questo è necessario conoscere i cinque elementi della guerra, perché, in tal modo, le mie previsioni aumentano di accuratezza. Così si vede chiaramente che l’epistemologia di guerra non cerca interpretazioni ma massimizza la verità, ovvero il generale non si pone il problema di stabilire se una certa descrizione sia il frutto di una interpretazione linguistica, come vogliono alcuni filosofi, quanto di stabilire se tale descrizione sia vera. E tutto questo è ben chiarito in controluce dall’analisi di Sun Tzu.

Sun Tzu 5

In fine, chiariamo perché in guerra è necessaria un’epistemologia che massimizzi la verità su ogni altra considerazione. Come disse esplicitamente Clausewitz, ma Sun Tzu dava questa considerazione per scontata, in nessun’altra attività come in guerra bisogna prendere decisioni strategiche e tattiche in condizioni di incertezza. L’incertezza epistemica può essere definita come una credenza la cui probabilità di essere vera è pari al più a 1/2, cioè al 50%. Una credenza la cui probabilità di essere vera è inferiore a tale soglia diventa irragionevole. Non posso fondare una previsione su credenze altamente improbabili, perché aumenta la probabilità che la previsione finale sia falsa. Immaginiamo un generale che, per ragioni psicologiche, creda che il nemico prenda la scelta peggiore, determinando da solo la sconfitta; questa credenza, altamente improbabile (perché ci sono molte ragioni opposte che aumentano il grado della sua implausibilità) aumenta la probabilità che il generale prenda cattive decisioni. Il caso inverso, cioè la paura di prendere rischi calcolati perché si sopravvalutano le forze del nemico, fu determinante durante la prima guerra mondiale, come ha dimostrato brillantemente Basil Liddle Hart, a dimostrazione del fatto che, per quanto possa apparire irragionevole, molto spesso in guerra vengono prese decisioni sulla base di elementi che minimizzano la probabilità che la previsione finale sia vera, incorrendo, poi, in conseguenti errori strategici e tattici.

Sun Tzu 4

Possiamo definire rigorosamente una aspettativa: una aspettativa è una credenza di cui non conosco il valore di verità (vero o falso e nessun altro valore) ma sono disposto a scommettere su di essa. Un esempio di aspettativa: non so se il mio nemico vuole mantenere una postazione in un terreno vantaggioso, non ho ragioni decisive per crederci, perché non so cosa farà e se intenda sfruttare il vantaggio, ma sono disposto a scommetterci. In guerra, come in tutte le attività che prevedono lo scontro tra interessi convergenti ma la cui realizzazione prevede l’eliminazione dell’interesse avversario, il ruolo giocato sulle aspettative è fondamentale. Per questo le condizioni di incertezza in guerra sono continue, perché non è spesso possibile sapere dove finiscono le aspettative e dove inizino le conoscenze.

Per minimizzare i rischi e aumentare le probabilità di effettuare previsioni accurate, è necessario adottare dei sistemi di formazione di credenze che massimizzino le credenze vere su quelle false. Il risultato sarà il seguente: se i calcoli del generale producono più credenze false che vere, egli minimizza la probabilità di prendere decisioni corrette proprio perché sempre più aleatorie; viceversa, più i calcoli del generale producono più credenze vere che false egli potrà prendere decisioni accurate e vincenti. La correlazione tra buona decisione e buona previsione è evidente: sebbene le condizioni di un gioco in condizione di elementi intrinsecamente aleatori non possa fondare un’epistemologia della certezza a grado massimo, è pur vero che aumentando le proprie conoscenze si aumenta la probabilità di prendere decisioni corrette e, così, di vincere. 

(3. continua)

Sun Tzu 3

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16 Commenti a Sun Tzu, uno studio su L’arte della guerra: Epistemologia

  1. avatar
    Mongo 23 Maggio 2014 at 15:41

    E’ stato arduo leggere questo pezzo, ho avuto difficoltà sin dal titolo: epistemologia??? Mi sono munito di un dizionario!! 😕
    Sono affascinato dal tuo ‘sapere’. 😉

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    DURRENMATT 23 Maggio 2014 at 16:31

    …ho saputo per vie traverse che stai lavorando su un saggio riguardante gli scacchi e la filosofia della guerra. Ho molto apprezzato “Un Mistero in Bianco e Nero” e attendo con ansia la pubblicazione di questa nuova fatica letteraria. Buon lavoro.

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    Giangiuseppe Pili 23 Maggio 2014 at 18:47

    Salve a tutti!
    Si, è vero… immagino che sia un po’ difficile, ma confido nelle vostre capacità! 😉

    E’ vero che sto lavorando ad una nuova opera di scacchi e filosofia della guerra. Mi sorprende, dunque, sapere che c’è qualcuno che lo sappia!!

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    paolo bagnoli 23 Maggio 2014 at 18:53

    Splendido come al solito! Mio figlio ha una copia del Sun Tzu, ma io non l’ho letto…..
    Ricorre in questi giorni l’anniversario dell’assalto finale a Montecassino, un massacro che si sarebbe potuto evitare se Clark avesse letto Sun Tzu.
    Il nemico non fa MAI la cosa peggiore (per lui).

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    Doroteo Arango 23 Maggio 2014 at 21:16

    23 maggio 1992… oggi ricorre anche un altro triste anniversario…

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      nikola 24 Maggio 2014 at 00:26

      strage di Capaci, ahimè. e qui Sun Tzu non può farci nulla.

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      Ramon 24 Maggio 2014 at 00:52

      Tra le tante citazioni ricordate a proposito di questo giorno ecco una tra quelle che mi ha colpito maggiormente…

      il Fatto Nisseno

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    Giangiuseppe Pili 24 Maggio 2014 at 09:10

    Ringrazio Paolo e tutti per queste testimonianze che dimostrano oltremodo l’assurdità di chi crede che la violenza sia il mezzo privilegiato e migliore per risolvere i problemi quando, in genere, essa li rimanda ad un futuro possibilmente ancora peggiore.

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    DURRENMATT 24 Maggio 2014 at 15:30

    …in fondo l’Arte della Guerra è uno scritto di pace e per la pace. Sun Tzu è il teorico della strategia indiretta che può portare alla vittoria di una parte sull’altra anche senza arrivare a una guerra aperta.Infatti il caposaldo del pensiero dello stratega cinese è che il massimo dell’abilità consiste nel “vincere senza combattere” e “conquistare il territorio nemico intatto”. Stessa strategia utilizzata da Giovanni e Paolo:sconfiggere la mafia non con la militarizzazione del territorio ma “affamandola” economicamente, intaccando il suo potere economico. Poi è andata come è andata. Noi al Sud,almeno quelli che riconoscono l’esistenza della criminalità organizzata e fanno da argine (per molti non esiste!), siamo soliti ricordare i due magistrati con i semplici nomi di battesimo perchè come diceva Giovanni…”Gli uomini passano,le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.

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    Giancarlo Castiglioni 25 Maggio 2014 at 21:39

    Non ho capito quanto hai scritto: “la paura di prendere rischi calcolati perché si sopravvalutano le forze del nemico, fu determinante durante la prima guerra mondiale”.
    A cosa alludevi?

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      Giangiuseppe Pili 26 Maggio 2014 at 18:41

      Alludevo al fatto che, almeno secondo molti scritti di Liddell Hart, nella prima guerra mondiale si preferiva costruire una strategia di “conquista di poco spazio” piuttosto che cercare di fondare una strategia su più punti alternativi. E il motivo era dovuto alla paura di spingersi troppo in dentro le linee nemiche per timore di non riuscire a conservare integralmente lo spazio lasciato alle spalle. Questo, secondo Liddell Hart, ebbe come effetto quello di grandi massacri locali per piccole zone di territorio di contro alla paura di un vantaggio più consistente sebbene giudicato più rischioso.

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        Giancarlo Castiglioni 27 Maggio 2014 at 19:02

        Con tutto il rispetto per Liddell Hart, non sono d’accordo.
        I generali non rinunciavano a spingersi in profondità, semplicemente non ci riuscivano.
        Hanno rinunciato qualche volta, per esempio l’offensiva tedesca a Verdun, aveva lo scopo dichiarato di logorare il nemico, ma quasi sempre sul fronte occidentale l’obbiettivo era sfondare e non ci si riusciva.
        In parecchi casi la cavalleria era pronta nelle retrovie per sfruttare lo sfondamento sperato.
        Poi degli sfondamenti ci sono stati, sul fronte russo e a Caporetto.

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          Giangiuseppe Pili 28 Maggio 2014 at 17:28

          Carissimo Giancarlo. Grazie, dunque, per i commenti!!

          Mah, certo. A livello di ricostruzione storica si può parlare a lungo. Certo è, che Liddell Hart ha dedicato metà della sua vita in quanto studioso di strategia e storico, a confutare le basi strategico-interpretative su cui si fondava la conoscenza dei generali del primo conflitto mondiale (cioè, critica alla concezione clausewitziana della guerra). Dopo di lui è diventata quasi una moda criticare Clausewitz, che ciò nonostante continua a rimanere un faro delle analisi strategiche e politiche dell’Occidente. Poi, naturalmente, ognuno è libero di pensarla come vuole e di nutrire le opinioni più diverse, come è lecito che sia! Rimane il fatto che le credenze di Liddell Hart hanno un alto peso giustificativo. Ma questo non significa, appunto, che la si pensi anche contrariamente.

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            Giancarlo Castiglioni 28 Maggio 2014 at 20:59

            Continuiamo nella nostra discussione privata!
            Non sapevo nulla di questa questione.
            Se interpreto correttamente, Liddell Hart critica i generali perchè seguivano la concezione di Clausewitz.
            Mi sembra molto discutibile; da ambo le parti la politica nella IGM era vincere a qualsiasi costo, poi si vedrà, altro che “continuazione della politica con altri mezzi”.
            Comunque Liddell Hart non è da prendere per oro colato.
            Nella sua “Storia militare della IIGM” considera sicuro un incontro tra Ribbentrov e Molotov nella primavera del 1943, che ovviamente non è mai avvenuto.

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              Giangiuseppe Pili 29 Maggio 2014 at 17:49

              Caro Giancarlo, il fatto è che il sistema, qui, non è molto efficiente per lunghi scambi (privati, poi!… siamo visibili a tutti! :-)). Inoltre, ti dirò che sto studiando argomenti di strategia da un po’ di tempo e sto dedicando molti sforzi alla filosofia della guerra. Sicché, come capirai, solo parlare della “diatriba” Clausewitz/Liddell Hart richiederebbe un tempo e spazio al di fuori delle nostre attuali possibilità. Sarebbe bello poter avere una chiacchierata su questi temi. Tra l’altro, due settimane fa, ho tenuto la mia conferenza consuetudinaria del giovedì all’Accademia Scacchi di Milano, proprio su “Scacchi e guerra”. Comunque, tornando a Basil Liddell Hart, la sua grandezza sta soprattutto nelle argomentazioni oltre che nella sua grande conoscenza generale delle cose di guerra. Ci sta pure che abbia potuto sbagliare, ma sono ormai diversi ad accettare la sua posizione (anche se, purtroppo, pochi lo citano esplicitamente perché nel mondo inglese continua incredibilmente a dare fastidio. Dimostrando che gli inglesi non sono quel popolo elastico e illuminato che ci vogliono sempre lasciar credere). Se ti capita di ascoltare o leggere le conferenze degli strateghi americani attuali (ma non solo, anche nei libri della NCW) scoprirai quanto le dottrine elaborate da Liddell Hart siano sempre più accettate ed esse sono state pensate direttamente per contrastare il fenomeno bellico della WWI. Detto questo, non solo ho letto diversi suoi lavori, non solo li ho citati e ho esteso il suo concetto di “indirect approach” al “total indirect approach” (che puoi scaricare da qui: https://unisr.academia.edu/GiangiuseppePili) ma sono anche del parere che egli abbia una visione della strategia profonda e unica. E credo anche che i generali della prima guerra mondiale non difettassero di teoria, ma della “giusta” teoria. Sun Tzu potrebbe essere un esempio di “giusta teoria”. Ed è curioso che Liddell Hart, che certo non abbonda né di riferimenti, né di richiami (specialmente quando parla delle sue idee…;), citi Sun Tzu esplicitamente nelle sue memorie (L’arte della guerra nel XX secolo).

              Detto questo e sia chiaro, lo dico qui a te ma per dirlo al mondo, io studio tutte queste cose non perché sono a favore della guerra ma perché penso che il miglior modo di fare le paci (perché di “pace” ce n’è molte) sia quello di conoscere approfonditamente la guerra e la sua natura.

  9. avatar
    DURRENMATT 29 Maggio 2014 at 21:31

    …la “giusta teoria” in realtà era conosciuta dai generali della Prima guerra Mondiale ma venne poco considerata. Sun Tzu, in Germania, fu tradotto nel 1910 ma non ebbe nessuna influenza sullo Stato Maggiore del Kaiser (Hitler fece lo stesso). Invece gli inglesi utilizzarono i precetti di Sun Tzu per imbastire la campagna propagandistica sempre durante la Prima Guerra Mondiale.Inoltre, a dimostrazione che all’epoca l’Arte della Guerra era un testo molto conosciuto, pare che Lawrence d’Arabia si ispirò per alcune sue imprese proprio al testo di Sun Tzu.Infatti tra il Gennaio 1917 e il Settembre del 1918 il nostro “eroe” organizzò e guidò le tribù beduine arabe contro il governo imperiale turco in una classica operazione di strategia indiretta condotta secondo i principi, tecnici e psicologici, dell’Arte della Guerra…P.S. a proposito di “giusta teoria”, vorrei segnalare una libretto simpatico dal titolo “A scuola con Sun Tzu” scritto e pensato per gli studenti…la scuola affrontata secondo i precetti dell’Arte della Guerra!!

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