Sun Tzu: strategia di attacco

Scritto da:  | 12 Settembre 2015 | 13 Commenti | Categoria: Cultura e dintorni

Sun Tzu 3Lo scopo di un combattimento non è quello di distruggere un nemico ma è quello di ridurlo all’impotenza per conquistarlo intatto. Un nemico distrutto non è più niente, un nemico impotente è costretto a eseguire gli ordini del vincitore. Attività di suprema importanza per vincere il conflitto: sconvolgere la strategia del nemico, spezzare le alleanze, attaccare il suo esercito, non assediare le sue città fortificate. La presa di una città fortificata ha un costo dispendioso in termini di tempo ed energie, per tanto, l’attacco ad una fortezza è quasi sempre privo di grande utilità. Il comandante abile è colui che assume come fine la vittoria suprema e non si discosta da tale direttiva, sicché la massima abilità è nella conquista senza combattere. Le condizioni della vittoria sono le seguenti: il sovrano non deve interferire con le decisioni del generale e il generale deve essere capace; tutti gli uomini dell’esercito sono animati dal medesimo scopo; bisogna sapere quando è il momento di attaccare e quando non lo è; bisogna saper comandare un esercito, piccolo o grande che sia; bisogna essere preparati ad ogni imprevisto. Conosci te stesso, e il nemico non potrà mai batterti: conosci te stesso e il nemico, e sarai invincibile.

Il Sun Tzu è un testo prezioso perché conduce e stimola la conoscenza di tre elementi centrali del conflitto: se stessi, il nemico e la contingenza. L’arte della guerra mostra come esista una radice comune all’intera logica dello scontro, in qualunque sua forma, come abbiamo più volte mostrato in queste pagine. Questa logica, tuttavia, non si presta ad una riduzione totale ma solo ad una scomposizione per principi generali che devono trovare piena realizzazione solo all’interno della dimensione contingente. L’elemento contingente è il contesto in cui si situa materialmente il conflitto ed è solo in questa cornice materiale, che, come diceva Aristotele, non si lascia mai ricondurre ai soli principi della forma, che va dominata attraverso la conoscenza dei singoli dettagli che la compongono.

Gli elementi cruciali sono (1) il generale o “la mente”, (2) l’avversario, scisso in “generale” e “esercito”, e (3) il contesto dello scontro (quello che Lasker chiama “spazio della battaglia”;).1 L’abilità suprema nel conflitto non consiste nella distruzione del nemico dalle fondamenta, come fece Roma con la città di Cartagine (ma non con l’impero di Cartagine), ma quello di renderlo impotente senza combattere: “Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore”.2 Anche Clausewitz osserverà che lo scopo stesso della guerra consiste nel rendere impotente il nemico, e renderlo incapace di combattere. Questo è lo scopo supremo dell’arte della guerra, vale a dire la conquista del nemico intatto con il minimo spargimento di sangue. L’idea è da focalizzare perché essa costituisce una delle chiavi interpretative di tutto il pensiero di Sun Tzu.

Innanzi tutto, lo scopo di ogni conflitto, se è sensato, è quello di ottenere vantaggi. Abbiamo già avuto modo di osservare nel capitolo precedente che la guerra è un’attività che determina potenziali circoli viziosi estremamente pericolosi e indesiderabili: vanno a perderci tutti, e noi per primi. Così, un conflitto ha senso solo se è in grado di portare l’ago della bilancia in modo che i vantaggi siano superiori ai vantaggi. Ma se conquistassimo il nemico dopo la sua totale distruzione, che vantaggio ne avremmo tratto? Saremmo, sì, vincitori, ma avremmo solo le spoglie vuote di un territorio totalmente impoverito e noi non avremmo i fondi per rimpinguarlo, sicché saremmo più poveri noi senza compensi. Questo errore è una costante delle guerre combattute da sovrani e generali idioti. In fondo, è come voler usare un martello pneumatico per ridurre in pezzi l’intera noce. L’avremmo anche rotta, ma a che pro?

Sun Tzu 7Quando gli alleati bombardarono la Germania Nazista non considerarono che gli unici risultati erano quelli impoverire un paese già in rovina (e ormai sull’orlo della sconfitta) e il risultato fu che nel dopoguerra gran parte dei soldi del piano Marshall furono utilizzati per ricostruire la Germania perché, come insegnò il primo dopoguerra, un paese potente ma frustrato cede volentieri alle lusinghe del nazionalismo estremo, militarista e xenofobo. Così che la distruzione della Germania comportò spese immani per la sua ricostruzione. Ma prendiamo il caso delle guerre italiane combattute nella prima metà del cinquecento tra Francesco I e Carlo V. In esse le spese erano principalmente a carico dei comuni italiani, i quali furono il teatro di battaglia e fonte di energia per i due eserciti, così che sono stati gli italici a pagare il prezzo della guerra, guerra che ha incrementato la potenza di Carlo V (infatti, Machiavelli propose di adottare un sistema di leva obbligatoria e un esercito nazionale permanente per contrastare i mercenari sovvenzionati dai sovrani esteri, fatto che, forse, avrebbe evitato disastri nell’immediato futuro). Altri esempi di guerre virtuose si hanno da Giulio Cesare e Alessandro Magno: rapide, efficienti. In particolare, è noto come Giulio Cesare amasse farsi stimare come “misericordioso” perché non distruggeva i paesi conquistati; così come Alessandro Magno inglobava sistematicamente i soldati degli eserciti vinti (come testimonia L’anabasi di Arriano) allo stesso modo di Gengis Khan (come vien detto da Bianchi nel suo Gengis Kahn). Gustavo Adolfo, invece, è l’esempio di un grande generale senza essere un grande sovrano: egli sapeva vincere le battaglie, ma il suo scopo non era vincere, ma combattere, sicché egli impoverì la Svezia. Gustavo Adolfo, come Christian IV di Danimarca, sono due sovrani che, per cercare facili guadagni, appresero l’arte della sconfitta.3

Per focalizzare ancora meglio il punto, sarà bene riportare l’intero passo con le parole di Sun Tzu:

Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto un esercito.
Distruggerlo costituisce un risultato inferiore
Un risultato superiore consiste nel catturare intero e intatto un esercito.
Distruggerlo costituisce un risultato inferiore.
Un risultato superiore consiste nel catturare intero e intatto un battaglione
Distruggerlo costituisce un risultato inferiore.
Un risultato superiore consiste nel catturare intera e intatta una compagnia.
Distruggerla costituisce un risultato inferiore.
Un risultato superiore consiste nel catturare intera e intatta una squadra.
Distruggerla costituisce un risultato inferiore.
Perciò, ottenere cento vittorie in cento battaglie non è prova di suprema abilità.
Sottomettere l’esercito nemico senza combattere è prova di suprema abilità.4

Questo è un passo centrale. Sun Tzu insiste nel fornire una scala quantizzata di vantaggi, per dedurre una norma di valutazione. In altri termini, egli descrive i vantaggi in termini di quantità (un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto un esercito, un battaglione, una compagnia, una squadra/un risultato inferiore consiste nel distruggere) per concludere una norma di valutazione delle azioni militari: un’azione è virtuosa, se consente di aumentare i vantaggi tali che essi implicano l’assimilazione del nemico, viceversa l’azione militare sarà viziosa. Sun Tzu 6Puntualizzata la norma di valutazione, scatta la prescrizione: compi solo le azioni che rispettano la norma di valutazione e scarta tutte le altre. Per tanto, lo scopo supremo consiste nel conquistare intero e intatto il nemico, non per fargli un piacere, ma per massimizzare la nostra utilità. Di fatti, un generale virtuoso è colui che conquista senza combattere, non colui che vince in cento battaglie. Questo è l’esempio di Gustavo Adolfo: quando arriva quasi alle soglie di Vienna, preferisce deviare dal suo percorso perché il suo scopo era di vincere cento battaglie ma non la guerra. Questo è un esempio emblematico di quello che Sun Tzu condanna senza appello. Aggiungiamo che anche Basil Liddell Hart in Paride o il futuro della guerra sottolinea questo fatto, raccomandando di tener sempre a mente che il nemico di oggi è il partner commerciale e alleato di domani, sicché è un fattore decisivo al benessere globale dell’umanità (che comprende quella inclusa nel proprio stato) quella di preservare le forze del nemico per quanto possibile.

La vittoria sul campo è pur sempre una battaglia difficile e dispendiosa e, già solo per questo, va evitata, se possibile. Questo non significa che non bisogna combattere, semplicemente che esistono sistemi migliori per vincere un conflitto. Inoltre, anche nel momento in cui bisogna scendere in campo, bisogna rispettare alcuni principi aurei: non perdere mai la calma, calibrare la forza necessaria per vincere in base alle energie del nemico e colpire solo dove si può ottenere il massimo vantaggio con il minimo del dispendio delle risorse. Questo principio economico, ben noto a Lasker (che tratta per un intero capitolo del suo La lotta) non dice che bisogna combattere frettolosamente, ma prescrive di agire in virtù di quel che è necessario per vincere e non di più. Tutto il resto va evitato:

Il metodo per attaccare le città fortificate –
Preparando torri d’assedio e carri protetti da scudi,
Ci vogliono infatti almeno tre mesi.
Anche erigere terrapieni
Richiede tre mesi.
Se il generale cede alla propria rabbia e dà ordine ai suoi uomini di lanciarsi all’assalto delle mura come formiche brulicanti,
Un terzo degli ufficiali e dei soldati cadrà senza che la città fortificata sia espugnata-
Tali sono gli effetti disastrosi di simili attacchi.5

Il punto nodale è: non attaccare dove il nemico è forte, non attaccare con risorse ingenti laddove sarai facilmente sconfitto perché anche nel caso di una fortuita vittoria, non avrai ottenuto tutto il vantaggio che altrimenti avresti potuto guadagnare. Se questo principio sembra assai banale se letto nella calma del proprio studio, fu la causa di bagni di sangue atroci nella storia della guerra, come ha testimoniato più volte nelle sue acute analisi Basil Liddell Hart, caso di studioso moderno delle cose militari che fu anche attento lettore di Sun Tzu. Così, il grande generale sa scegliere altre strade, che la propria dissipazione di forze, anche se sono vie meno dirette e più tortuose, ma sono quelle che conseguono il massimo vantaggio:

E così, il comandante abile nelle operazioni militari
Soggioga l’esercito nemico senza combattere,
Espugna la città nemica senza assediarla,
Distrugge il paese nemico senza operazioni militari prolungate.
Adoperando una strategia che punti alla vittoria completa,
Il morale degli uomini non si abbatterà e i vantaggi saranno massimi.
Questo è il metodo della strategia di attacco.6

Sun Tzu 8Sebbene si tratti di una strategia di attacco, è sorprendente il sistema di ragionare di Sun Tzu: per conquistare una città bisogna piuttosto renderla inaccessibile ai soccorsi e alle vettovaglie, bisogna piuttosto far uscire il nemico con l’inganno e colpire nel momento di massima disorganizzazione, bisogna piuttosto distruggere le campagne. Questo è quello che avrebbero dovuto fare gli achei contro i troiani, invece di perdere inutile tempo per un totale di dieci anni di guerra, mandando i loro uomini contro le mura come “formiche brulicanti”. Combattere aggirando il nemico per coglierlo nel punto di massima debolezza, così come fece Ulisse, è l’obiettivo, non quello di ottenere la vittoria su mille battaglie, come avrebbe preferito un Achille. Anzi, volendo trovare un archetipo ideale, Achille ha tutte le virtù del pessimo generale, per quanto possa essere facilmente ammirato per le sue virtù guerriere: costui non sarebbe che in grado di vincere cento battaglie (forse) perdendo la guerra, perché non sarebbe in grado di trarre il massimo vantaggio dalle situazioni contingenti, confidando esclusivamente nella forza bruta. Per questo si dà un preciso metodo per organizzare le operazioni militari in modo da massimizzare il proprio vantaggio:

Se sei in proporzione di dieci a uno, circonda il nemico.
Se sei in proporzione di cinque a uno, attaccalo.
Se sei in proporzione di due a uno, dai battaglia.
Se le vostre forze sono in parità, cerca di dividerlo.
Se la tua forza è inferiore, difenditi.
Se è impari, ritirati.
Se chi è in minoranza persevera,
Determina la vittoria di un nemico più numeroso.7

La vittoria è ottenuta da precisi rapporti numerici i quali sono solo l’indice numerico dal quale deve seguire la corretta strategia. In particolare, contare e organizzare richiede freddezza e capacità di calcolo sufficienti da scongiurare la perdita di autocontrollo che si fonda sulle emozioni e che discosta dalla realtà dei fatti. Se sei in vantaggio, non devi necessariamente dare sfogo alla tua ira perché lasci una debolezza importante che può essere sfruttata. Ma se conti e controlli, la tua abilità fuoriesce e il nemico, già in difficoltà, non potrà danneggiarti. Per tanto, Sun Tzu può indicare le condizioni della vittoria nel modo seguente:

Bisogna sapere quando è il momento di combattere e quando non lo è.
Bisogna saper guidare tanto un grande esercito quanto uno piccolo
La vittoria si ottiene quando i superiori e gli inferiori sono animati dallo stesso spirito.
La vittoria si ottiene quando si è preparati ad ogni imprevisto.
La vittoria si ottiene quando ci sono un generale capace e un sovrano che non interferisce.
Questi cinque requisiti costituiscono il tao che porta alla vittoria.8

Così, è fondamentale sconvolgere continuamente i piani dell’avversario e non lasciargli leggere i propri: renditi invisibile al suo occhio della mente, così che non possa mai capirti. In guerra vale la massima che meno lasci intendere e più non lasci al nemico alcuna opportunità di scoprire nuove informazioni: “E così, è di suprema importanza sconvolgere la strategia del nemico”.9

Sun Tzu 9Quando il nemico entra in confusione è il momento opportuno per dividergli le forze e, se è scisso nella mente, non riuscirà a prendere decisioni e finirà facilmente per commettere errori: l’attività di separazione deve essere concomitante a quella di renderlo sempre più isolato da ciò che può dargli forza, in modo tale da colpirlo nel punto di minima resistenza senza esitazione. Era quello che compivano con grande abilità Alessandro Magno e Napoleone.

Una domanda può sorgere spontanea: se abbiamo già avuto più volte modo di asserire che non esiste un sistema per conoscere ogni possibilità a priori, perché nel presente si danno condizioni contingenti, allora perché Sun Tzu indica come condizione necessaria alla vittoria quella di “essere preparati ad ogni imprevisto”? La guerra è composta da noi e dal nostro schieramento, dal nemico e dal suo schieramento e dal resto della realtà che compone lo spazio e il tempo della contesa. Conoscere noi stessi e il nemico e la realtà sono le condizioni grazie alle quali è possibile assicurarsi nei confronti delle avversità. Così, Sun Tzu termina con queste parole:

E così, nelle operazioni militari:
Se conosci il nemico e conosci te stesso,
Nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo,
Se non conosci il nemico ma conosci te stesso,
Le tue possibilità di vittoria sono pari a quelle di sconfitta.
Se non conosci né il nemico né te stesso,
Ogni battaglia significherà per te la sconfitta.10

Sun Tzu 11

Da un punto di vista individuale, possiamo trarre le seguenti considerazioni. Per vincere bisogna contare solo sulle proprie forze e sulla propria mente, per tanto, per prima cosa bisogna che la nostra razionalità (il generale) sia assistita da una volontà non vacillante (il sovrano), così che non ci siano intromissioni delle emozioni nella nostra attività, emozioni che rischierebbero di lasciarci andare a considerazioni sentimentali che non massimizzano la nostra utilità. Una volta salda la mente, unificato lo spirito, bisogna analizzare le condizioni alle quali noi possiamo muovere contro un avversario, in modo economico, efficiente ed efficace. Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, così che è necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, in modo da ordinare i mezzi nel modo migliore. Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il nemico, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di capitalizzare ogni nostro vantaggio. Il che significa saper valutare le nostre risorse e le nostre forze, non imbarcandoci in progetti irrealizzabili per determinare la vittoria di un nemico a noi superiore. Realismo costruttivo, questa è l’ottica, l’unica, verso la quale la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.

separator4

1 Lasker E., La lotta, Scacchi e Scienza applicata, Venezia, 2006.

2 Sun Tzu, L’arte della guerra, Mondadori, Milano, 2003, p. 12.

3 Per quanto attiene a Gustavo Adolfo e a Christian IV, rimandiamo ai libri di Valzania e Hansen riportati in bibliografia.

4 Ivi., Cit., p. 13.

5 Ivi., Cit., p. 13.

6 Ivi., Cit., p. 12.

7 Ivi., Cit., p. 14.

8 Ivi., Cit., p. 15.

9 Ivi., Cit., p. 13.

10 Ivi., Cit., p. 15.

Sun Tzu 10

(8. continua)

avatar Scritto da: Giangiuseppe Pili (Qui gli altri suoi articoli)


13 Commenti a Sun Tzu: strategia di attacco

  1. avatar
    Giangiuseppe Pili 12 Settembre 2015 at 13:22

    Un saluto a tutti gli amici di soloscacchi! E al sempre inossidabile Martin!

    Mi piace 1
    • avatar
      DURRENMATT 12 Settembre 2015 at 17:54

      …alla luce del tuo scritto come inquadreresti Le Marèchal Joseph Joffre?-(“I nostri fianchi hanno ceduto?Il nostro centro è sfondato?Bene,Signori,attacchiamo!”;)

      Mi piace 1
  2. avatar
    The dark side of the moon 12 Settembre 2015 at 19:26

    Grazie per il contributo davvero interessante.
    Pillole di saggezza 😉

  3. avatar
    Giancarlo Castiglioni 13 Settembre 2015 at 00:52

    La tua citazione dei bombardamenti sulla Germania come esempio di strategia sbagliata per vincere la guerra non mi sembra molto felice.
    Bisogna domandarsi qual’era lo scopo che gli Stati Uniti volevano raggiungere.
    Per Sun Tzu lo scopo di una guerra è sempre soltanto vincere con il minimo dispendio di forze.
    In teoria è perfetto, ma nella realtà non è sempre così.
    Vi sono casi in cui lo scopo di guerra è l’eliminazione fisica del nemico.
    Difficilmente il sovrano ha il coraggio di enunciarlo esplicitamente, ma nella pratica questo obbiettivo è stato perseguito e raggiunto.
    Se lo scopo degli USA fosse stato semplicemente vincere avrebbero potuto avviare delle trattative di pace nell’autunno ’43 quando ormai era chiaro che la guerra era vinta.
    Molti pensano che il vero scopo della guerra fosse eliminare per un congruo numero di anni la concorrenza commerciale di Germania e Giappone; in questo caso i bombardamenti e la richiesta della resa incondizionata erano perfettamente adatti allo scopo.
    Il piano Marshall nel dopoguerra è stato un buon investimento per gli USA, che con un costo tutto sommato limitato hanno ottenuto grandi vantaggi politici.
    Traendo le conclusioni, per me è teoricamente perfetto ma troppo semplicistico lo schema di Sun Tsu in cui il sovrano affida al generale il compito di vincere la guerra e poi non interferisce più nella condotta del generale.
    Nella realtà il sovrano ha il diritto e il dovere di conoscere come il generale intende condurre la guerra per verificare che il metodo sia compatibile con gli scopi di guerra e nel caso chiedergli di cambiarlo.
    Successivamente il sovrano deve costantemente controllare che le operazioni militari siano in accordo agli scopi di guerra, che possono anche mutare nel tempo.
    Io sono per il primato della politica, la guerra è una cosa troppo seria per affidarla ai generali.

    • avatar
      paolo bagnoli 13 Settembre 2015 at 10:10

      In linea di massima concordo con quanto detto da Giancarlo.
      La prima osservazione – banale – che mi viene in mente è che Sun Tzu emetteva giudizi basandosi sulle strutture politico-militari del suo tempo, mentre le guerre “moderne” possono contare su tecnologie e su visioni politiche radicalmente mutate, prova (eclatante) ne sia il conflitto ISIS-Occidente, a meno che non si voglia considerare vincente la strategia dell’ISIS: paralisi quasi totale dell’Occidente, impossibilità politica di trovare il bandolo della matassa
      (troppi i veti incrociati sulla faccenda), raid aerei distruttivi ma inefficienti al fine (quale? Distruzione o paralisi?).
      La seconda osservazione riguarda il LUOGO dello scontro con l’ISIS, cioè il mondo intero: da un momento all’altro possiamo trovarci la guerra nel salotto di casa.
      E’ tuttavia estremamente interessante l’articolo di Pili se lo si considera in “visione scacchistica” (lo zugzwang strategico è superiore all’eliminazione di fastidiosi pezzi avversari?).

  4. avatar
    Francesca 13 Settembre 2015 at 10:39

    Chiedo innanzitutto di scusarmi per il  disturbo, ho avuto modo di sentir parlare di Chess Cube ma c’è un ma, io non so come registrarmi e dove..in verità son poco brava con il pc, vi sarei grata se mi voleste aiutare e soprattutto spiegarmi bene come funziona qs  luogo che molti apprezzano.
    Attendo vostro aiuto.
    Mi raccomando spiegate in modo semplice.
    Grazie infinite Francesca

    • avatar
      danilo 13 Settembre 2015 at 16:33

      ciao Francesca
      che problemi hai a registrarti?
      parli di questa pagina?
      http://www.chesscube.com/

      fammi sapere

      • avatar
        danilo 13 Settembre 2015 at 18:04

        alcuni suggerimenti:
        se la tua necessità è quella di giocare,
        ti segnalo due siti
        http://play.chessbase.com/
        http://www.chess.com/
        1) non è necessario spendere un centesimo
        2)eviti al massimo le persone scorrette se giochi dopo che ti sei registrata,
        difatti chi offende o è scorretto viene limitato e isolato.
        3)una buona grafica di gioco
        4)diverse modalità a disposizione.

        un saluto
        Danilo

  5. avatar
    Giangiuseppe Pili 13 Settembre 2015 at 13:17

    Grazie a tutti per i generosi commenti. Per quanto riguarda Sun Tzu, anche solo a giudicare dai riferimenti testuali, è ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per gli studiosi di warfare, indipendentemente dalla tecnologia. Anzi, soprattutto, dal punto di vista strategico, Sun Tzu è, insieme a Clausewitz, l’unico autore SEMPRE citato o a cui si fa riferimento tacitamente. Detto questo, il mio uso degli esempi storici è sempre e comunque strumentale alla teoria. Non sono uno storico, ma è importante fornire degli esempi, anche quando stiracchiati, perché altrimenti la disamina sarebbe troppo astratta. Temo, poi, che non ci sia lo spazio qui per argomentare sulla attualità del pensiero strategico del cinese. Che, a mio modesto avviso (criticabile, se volete), rimane il più grande genio strategico. Su questi temi vi posso rimandare ad altro loco dove estensivamente considero la teoria di Sun Tzu e la teoria della guerra. In fine su Sun Tzu e gli scacchi, ho dedicato un intero capitolo nel mio secondo libro!!

  6. avatar
    DURRENMATT 13 Settembre 2015 at 18:58

    …concordo con Pili.In questo nuovo “periodo assile”(alta concentrazione di caratteristiche innovative)c’è bisogno di nuovo “razionalismo”.Ecco l’importanza della rilettura dei testi classici della strategia,ecco l’attualità di Sun Tzu…P.S.caro Pili che mi dici del tuo libro “L’eterna battaglia della mente”?E’ apprezzato dagli scacchisti?Spero di sì.Un caro saluto.

  7. avatar
    Giancarlo Castiglioni 14 Settembre 2015 at 12:39

    Non discuto l’indubbio valore di Sun Tzu.
    Trovo gli esempi molto importanti, certamente rendono più leggibile l’esposizione, ma sopratutto servono per una verifica della teoria, una specie di metodo sperimentale.
    Ho cercato quindi di applicare le teorie di Sun Tzu alle guerre moderne, ma mi sono trovato subito in difficoltà, non ho trovato esempi calzanti.
    Il problema è nella definizione degli scopi di guerra.
    Ai tempi di Sun Tzu i “vantaggi” a cui mirava il sovrano potevano essere la conquista permanente di nuovi territori o il saccheggio di territori nemici o la cattura di schiavi.
    Tutto abbastanza semplice, ma al giorno d’oggi non è più così.
    Qual era lo scopo della guerra degli USA contro l’Iraq?
    Portare la democrazia in Iraq abbattendo un dittatore e distruggere le “armi di distruzione di massa”?
    Non ci crede più nessuno.
    Credo si vada più vicino alla verità pensando che lo scopo era vuotare e successivamente riempire di nuovo di bombe e missili gli arsenali USA.
    La condotta di guerra è stata perfettamente rispondente a questo scopo.
    Altrettanto importante è stato l’aumento di influenza e prestigio di alcuni settori della classe dirigente USA, Dipartimento di Stato, CIA, complesso militare industriale.
    Quindi una guerra fatta non per gli interessi del sovrano, ma per gli interessi di una parte della classe dirigente della nazione.
    Ancora più peculiare il caso della guerra delle Falkland-Malvinas, un gruppo di isole completamente prive di valore, buone sole per allevare le pecore.
    Lo scopo della guerra era di sollevare il prestigio della traballante giunta militare agli occhi dell’opinione pubblica argentina.
    Parallelamente la reazione inglese aveva lo scopo suscitare una ondata di patriottismo a favore del governo Tatcher, quindi la riconquista inglese delle isole ha avuto un costo insensato, ma ha conseguito lo scopo della guerra.
    In qualche caso lo scopo di guerra è la guerra stessa.
    I nazionalisti italiani nel 1914 volevano entrare in guerra a fianco della Germania e poco dopo cambiarono idea chiedendo l’intervento a fianco dell’Intesa; l’importante era entrare in guerra, il vantaggio che si poteva ottenere secondario.
    Ho letto il libro di Sun Tzu molti anni fa, potrei sbagliarmi, ma mi sembra che trascuri completamente l’argomento dello scopo di guerra.
    Dice che lo scopo è imporre la pripria volontà al nemico, d’accordo, ma per fare cosa?
    Tratta la guerra come un problema tecnico, suggerisce la condotta di guerra migliore in astratto, senza considerare che lo scopo della guerra può influenzarla.
    La mia non è una critica, il libro rimane estremamente valido, il suo fascino è proprio in questa sua astratta razionalità.
    Forse il problema è che trattando razionalmente la guerra c’è una contraddizione di fondo, la guerra è intrinsecamente irrazionale.
    Applicando la razionalità non ci sarebbero guerre.

  8. avatar
    Giangiuseppe Pili 15 Settembre 2015 at 12:41

    Mi fa piacere osservare quanto ancora Sun Tzu possa sollevare osservazioni e problemi. Il che, mi pare, sia già il sintomo che a 2500 anni di distanza, sia una analisi valida e ancora importante. Poi (a) nessuno dispone della teoria del “tutto” anche perché essa non è neppure possibile in linea di principio, (b) ogni contesto storico fa caso a sé e infatti Sun Tzu diceva che bisogna seguire “vie straordinarie e ortodosse” perché “gli stratagemmi non possono essere insegnati in anticipo”. Poi concludo dicendo che anche se Sun Tzu fosse il caso di una sorta di ideale platonico per la teoria della guerra (non è così, ma facciamo conto che…;) questo non sarebbe un difetto nella misura in cui una cosa è il piano normativo di una teoria, altra cosa il piano descrittivo, altra cosa ancora quello didattico e altra cosa ancora diversa il piano applicativo. Sun Tzu, rimanendo solo sul piano normativo (o tendenzialmente), sarebbe almeno coerente.

  9. avatar
    Giangiuseppe Pili 16 Settembre 2015 at 01:58

    Per gli interessati consiglio:

    un seminario su Guerra, Storia e Strategia che ho tenuto a suo tempo!

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